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Cronache di Osmannoro

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Idea per una saga fantasy post-apocalittica ambientata a Osmannoro.

Inizia così: durante una serata latino-americana nella discoteca Taranis si apre una voragine in mezzo alla pista e centinaia di persone scompaiono in un abisso profondissimo. Nello stesso momento in un capannone cinese dove si fabbricano borse Prada taroccate, una cinese 17enne dà alla luce un’orrenda creatura. E’ l’inizio dell’Avvento del Male a Osmannoro.

Protagonisti:

Bruno – è un fattorino della BRT corriere espresso che si è perso a causa del malfunzionamento del navigatore (a Osmannoro non funzionano, o ti mandano in vie che non esistono). Doveva consegnare 50 pacchi di oggetti per cosplayer. Quando dalla voragine del Taranis iniziano a venire  fuori delle creature malvagie, Bruno apre uno dei pacchi e trova una spada che userà per uccidere le creature.

Li – è la 17enne che dà alla luce il mostro. Bruno non capisce un cazzo della situazione, quindi, contro ogni buon senso, si metterà in testa di dover salvare la giovane Li e il suo pargolo, anche se in realtà sono proprio loro il problema. Ma niente da fare, Bruno è fatto così.

Cesare – tossicodipendente che ha i poteri paranormali quando si spara una dose di eroina (tipo che legge nella mente, diventa super veloce, apre bottiglie di birra con il pensiero ecc.). Si unirà a Bruno e Li, anche lui non capisce un cazzo della situazione ma non ha altro da fare. All’inizio userà una spada laser di Star Wars presa dai pacchi di Bruno, ma solo dopo un po’ capisce che le spade laser non esistono veramente. Da lì in poi usa come arma una bottiglia di birra rotta.

Cristopher – Tamarro palestrato, peso 75 kg, pancia tartarugata, lampada, ecc. Era dentro al Taranis a ballare quando è successo tutto. Combatte da solo, non si unisce a Bruno perché c’è tipo uno scontro tra leader (niente di tutto questo, in realtà). Sopravviverà facendosi strada a forza di testate.

Il Senza Nome – è un misterioso vecchio che vive da sempre in una baracca di Osmannoro. Sostiene di aver previsto tutto ma nessuno l’ha cagato. Anche nella storia nessuno lo caga, ma ogni tanto appare e fa delle profezie. In una scena palpeggia Li e poi scappa via.

Katia – istruttrice di fitness presso una palestra di Osmannoro. All’inizio ha un mezza storia con Cristopher, poi capisce che lui è troppo tormentato e per salvarsi si unisce al gruppo composto da Bruno, Li e Cesare. Il suo obiettivo è tornare a casa  dove l’aspetta suo figlio Kevin Hugh (chiamato così in onore di Kevin Bacon e Hugh Grant).

Krastahafarizen – è il capo delle creature malvagie che escono fuori dalla voragine del Taranis. Assomiglia a Cristopher, però con i peli e le corna da diavolo.

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Post della tonsillite/ Appunti sparsi e storie di fantasmi, ovvero forse è meglio ricominciare a lavorare

  • reportage sulla terribile banda di bambini che vive nelle fogne di una città dell’est che terrorizza gli ex bambini che vivono nelle stesse fogne dagli anni 90 ma che ora sono diventati adulti e vorrebbero stare un po’ tranquilli.
  • nessuno ha ancora inventato lo spazzolino da denti commestibile. ditemi se non sarebbe il capolavoro dell’obsolescenza programmata. ogni volta che ti lavi i denti mangi lo spazzolino. è meglio di un prodotto usa e getta. il concetto è quello, ma dà maggiore soddisfazione all’utente.
  • Dall’enciclopedia: Osmannoro [località], uno degli insospettabili luoghi dove il Male si manifesta. Oltre ad avere il nome che sembra quello di un gruppo black metal finlandese, Osmannoro nasconde un orribile segreto, per ora ben mantenuto, dato che nessuno sa quale sia. Wikipedia, con la consueta ipocrisia, lo definisce semplicemente “una zona fisica pianeggiante appartenente al comune di Sesto Fiorentino”. In realtà si tratta di una zona, che non ho mai visto in vita mia e che non voglio vedere, dove il Male si è manifestato con tutta la sua potenza capitalista, a partire dagli anni 60. Prima il nulla, giusto qualche laghetto, l’epoca felice dove il Male sobbolliva in profondità e si preparava ad emergere in superficie. Poi: vengono demolite le vecchie case, scompaiono i laghetti, si apre una discarica, si dà il via allo SviluppoIndustriale666 (chiamato così anche nei documenti del comune) e quindi ecco il centro commerciale, la fabbrica di scarpe, le concessionarie di automobili, gli alberghi, i capannoni abbandonati, i capannoni con i cinesi, e – sempre da Wikipedia che fa finta di non capire – “negli ultimi anni sono stati aperti dei locali notturni di successo, nonostante la posizione non centrale né particolarmente affascinante”. Uno di questi è un locale che si presenta come “il locale di Firenze che è riuscito a riunire tutti gli amanti della musica Latina”. Di un altro locale un utente dice: “Ragazzi ho beccato questo night club proprio di fronte all’ex svendita fallimentare Aiazzone (vicino all’ikea) in via Avogadro all’Osmannoro. Ne sapete qualcosa? La zona è losca da morire”. E’ sufficiente cercare Osmannoro su Google Immagini per avere un sunto della situazione: zingari, incendi, borse contraffatte, uccelli in scatola. L’orribile segreto di Osmannoro è sotto gli occhi di tutti eppure nessuno ha ancora capito qual è. Abbiamo troppa paura per vedere la verità terribile che c’è in Osmannoro.
  • Osmannoro [modo di dire] minaccia di bestemmiare, “guarda, non insistere osmannoro”.
  • Storie di fantasmi: un famiglia distrutta dal dolore per la morte del figlio più grande. La madre, il padre e la sorella più piccola cercando di andare avanti, nonostante tutto. La sorella però una notte tenta un rituale magico per riportare in vita il fratello. Non accade nulla, ma durante la notte sentono dei rumori provenire dal salotto, che è illuminato dalla luce azzurra della tv sull’effetto neve. Sul divano davanti alla tv c’è il fratello in pigiama con lo sguardo perso nel vuoto. La magia ha funzionato. Sembra incredibile ma lui è tornato, è riapparso. Non si possono toccare e lui non può uscire di casa. Non ha bisogno nè di mangiare nè di bere, perché è morto. La mamma gli prepara comunque in continuazione panini, torte e biscotti, ma lui rifiuta. Dopo i primi giorni di sorpresa la famiglia si abitua: i genitori vanno a lavorare, la sorella va a scuola e lui, il morto, passa la giornata a ciondolare per la casa e a spiare quello che succede fuori dalla finestra. Dopo un mese è ancora lì. In famiglia iniziano a preoccuparsi. Pensavano che sarebbe rimasto poco, finchè durava l’effetto della magia, ma dopo un mese non è cambiato nulla. La madre, preoccupata, va dal suo medico e gli racconta che il figlio non mangia, non beve, non si lava, non esce di casa, quasi non parla e passa la giornata a non fare nulla, ovviamente senza accennare al fatto che era morto e ora è un fantasma. Il medico non ha dubbi: è depresso. Lo faccia uscire, dice alla madre. I genitori non sanno cosa fare, provano a dirglielo con gentilezza: “senti caro, ma per quanto pensi che resterai ancora? no perché è bellissimo riaverti qui però…”. Imbarazzo in famiglia. Dopo due mesi c’è molta tensione, nessuno aveva pensato all’eventualità che il morto tornasse e non andasse più via, nessuno sa cosa fare. Lui sembra sempre più depresso, non può mangiare, non può uscire, capisce che la famiglia sì, gli vuole bene, ma pure loro poverini si sono rotti i coglioni. Decide di uccidersi, ci prova, ma non muore, perché è già morto. Il padre è ormai al delirio, ogni tanto arriva tutto agitato e gli dice cose come “Ma e se ti cercassi un lavoro?” e poi va via dicendo “no no, non si può, e no che non si può” parlando da solo. La mamma ogni tanto gli propone una torta, poi piange e ha iniziato a fumare di nascosto. La sorella ha il ragazzo e quando i genitori non ci sono vorrebbe pure farci qualcosa in camera da letto, ma c’è sempre il fratello morto che ciondola in pigiama in casa e alla fine le passa la voglia. Un giorno se li ritrova tutti davanti che gli dicono: “Senti, noi abbiamo pensato bene alla cosa, e sai quanto ti vogliamo bene, però così è una tortura anche per te, lo sai, no? Forse stavi meglio dove stavi prima [manca il finale]
  • Altra storia di fantasmi: tecnico informatico di 34 anni, vive solo, fa clonare la ragazza che l’ha mollato, l’azienda che si occupa della clonazione gli dice che il corpo durerà una sola notte, un’ultima romantica notte d’addio (aveva voglia di scopare, ha speso 2mila euro per questa minchiata). mette una specie di guscio vuoto nella vasca con acqua fredda, versa una sostanza speciale fornitagli dall’azienda e dopo mezz’ora ecco la ragazza, una copia esatta della sua ex. non parla, sembra una ritardata, tanto che lui all’inizio non se la sente di fare sesso con lei. poi pensa che non è una ritardata, è solo un clone che tra poche ore sparirà, quindi l’accarezza e tutto quanto, e alla fine fanno all’amore. la mattina dopo lui si aspetta di trovare la metà del letto di lei vuota, e invece eccola là, è ancora intera. chiama l’azienda, ma dicono che non sono responsabili di niente e di non venire a cercarli se no dicono a tutti quello che ha fatto (2mila euro in effetti erano pochi, capisce che era un’azienda poco seria, oltretutto con sede a Osmannoro). la ragazza non parla, non mangia, non beve, non si muove nemmeno. passano le settimane, le vengono le piaghe da decubito, poi lentamente inizia a marcire. lui non se la sente di farla a pezzi e buttarla, perchè sembra ancora viva, sembra ancora lei! il suo amore! l’aspetto cambia, ormai è deforme, un mucchio di finta carne plasticosa, una puzza schifosa, cade prima una tetta, poi l’altra, alla fine lui mette tutto in un sacco. lo chiude bene con il nastro isolante, poi lo mette in altri due sacchi, chiude bene e infine in un ultimo sacco e la butta nell’indifferenziata, e vaffanculo. il senso è che bisogna superare le storie d’amore finite, una cosa di questo tipo.
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Post della tonsillite/ Guardami negli occhi

Ecco qua, a proposito del post precedente, cosa dicevo? Qui l’immagine grande.

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Post della tonsillite/ Formazione per la fine del mondo

Ora, fino a qualche anno fa i più paranoici (o previdenti) tra noi si preparavano alla fine costruendo bunker, fabbricando dispositivi di sopravvivenza, imparando il morse a memoria, accatastando barattoli di fagioli e altre conserve ovunque. Questa era la norma, come ricorderete. Oggi, in realtà già da qualche tempo, sono convinto che tutto questo sia inutile. L’apocalisse che ci apprestiamo ad affrontare è quotidiana e non si giocherà su chi sa accendere un fuoco o scuoiare un animale, ma sulla comunicazione. Per sopravvivere e continuare a pagare irpef e inps dovremo diventare “guerrieri cosmici della comunicazione”, “illuminati maestri risparmiatori” o, come preferisco dire io, “truffatori”.

L’unico modo di sopravvivere senza compromettere troppo il mio stile di vita, ma adattandomi alle circostanze avverse piegandomi senza spezzarmi, sarà quello di essere il più disonesto possibile e apparire il più pulito possibile.

In questi giorni, siccome ho la tonsillite (o forse no? forse l’inganno è già cominciato?) ho letto un po’ di ebook di mentalismo, ipnosi, ebook gratuiti con presentazioni tipo

“Diventa assertivo, scopri come fronteggiare qualsiasi situazione sociale avversiva. Apprendi come interpretare i segnali corporei dei tuoi interlocutori, come gestire le tempistiche di una conversazione, come gestire lo spazio interpersonale in modo proficuo (prossemica), e molto altro ancora…”

il manuale per gli interrogatori della cia, altri sulla lettura del pensiero (non in senso psichico ma sempre illusionistico, cioè la cold reading e soprattutto la hot reading) – uno che consiglio è “Leggero il pensiero non è una magia” di Henrik Fexeus, dove ad esempio si legge questo meraviglioso esercizio anti-depressione:

Ricordi come sia possibile aiutare un amico depresso a cambiare umore grazie al linguaggio del corpo? Funziona perché gli stati mentali sono collegati a quelli fisici. Puoi usare lo stesso principio su di te, per migliorare il tuo umore o darti la carica. Devi soltanto iniziare a comportarti come se fossi più carico/allegro. Immagina che espressione avresti, come staresti seduto o in piedi, come ti muoveresti se avessi più energia di quella che hai. All’inizio sembrerà strano, ma ben presto ti sentirai più carico e positivo di prima. Lascia che i processi fisici che puoi controllare, come muovi muscoli e arti, attivino i processi cerebrali. Fingi fino a riuscirci.

fino a libri sull’illusionismo, la prestidigitazione e i giochi con le carte (potrebbero tornare utili anche quelli, non si sa mai).

A breve intendo iniziare un corso di uso della voce, perché sarà fondamentale, per gestire nel modo migliore le “situazioni sociali avversive” (commesse del supermercato, agenzie di recupero crediti, equitalia, ecc.) avere il potere di catturare le persone con lo sguardo e la voce.

Ho anche iniziato i primi esperimenti livello base: gestire un pagamento volutamente sbagliato al supermercato (ehm scusi, mancano 50 centesimi – oops), o un biglietto del treno non timbrato (“la macchinetta aveva finito l’inchiostro, un classico eheh!”), rubare poco alla volta, ogni volta che si presenti l’occasione e non sprecare un solo centesimo, ma soprattutto – punto fondamentale – costruire una propria immagine di sè che porti al più totale depistaggio.

Cioè sembrare buoni, innocui, più poveri o ricchi di quello che si è a seconda delle situazioni, avvicinarsi al volontariato (come volontari, ma poi una volta dentro comportarsi da assistiti), e altri trucchi per il “risparmio” già indicati nell’ebook gratuito “100 trucchi infallibili per risparmiare“. Nessuno, nemmeno voi, deve capire chi siete veramente. Quel che si richiede è una totale abnegazione. Se vi chiama vostra madre confondetela, ditele che va tutto bene, la volta dopo tutto male, inventate storie parallele che non si incrociano mai, decine di versioni per decine di persone diverse, nessuno deve neanche poter avvicinarsi a ciò che avete davvero in testa.

Nemmeno voi.

A un certo punto non dovrete più sapere cosa state facendo, nè perchè avete iniziato a farlo. Dovete dimenticarvi qual è la parte vera e quale quella falsa, in modo che non vi sia più alcuna differenza. Questo sarà l’unico modo di sopravvivere nel modo migliore possibile. Attenzione: sopravvivere, mai vivere. Non puntate troppo in alto, perchè altrimenti cedete all’accumulo, vi mettete in testa di rubare agli altri, diventare ricchi, e allora la vita diventa inutilmente faticosa e rischiosa. No.

Tutto quello che volete è vivere tranquilli, con una casa, il mangiare, qualche capriccio, e tenervi il più lontano possibile dagli uomini in divisa.

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Post della tonsillite/ The Pagapapà Internazionale

Meritocrazia, inglese perfetto, visione internazionale, all’estero mica è come qua, oh provinciali, lasciatemi salutare con entusiasmo questa bellissima realtà che è The Post Internazionale!

Ieri leggo questo annuncio:

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Avendo la tonsillite, decido di interessarmi alla cosa.

Quindi vado nel sito, leggo un po’ di cose, forse mi addormento un paio di volte, non sono sicuro, comunque poi finisco nella pagina chi siamo dove “senza giri di parole” (loro motto), c’è la lista dei fondatori e dei redattori del giornale.

Fondatore:

Giulio Gambino (1987), nipote di Antonio Gambino (fondatore dell’Espresso).

leggo che: Ha vissuto a Londra per 6 anni e ha studiato storia e politica internazionale alla School of Oriental and African Studies (University of London). Ha studiato alla Columbia University Graduate School of Journalism. Scrive per “l’Espresso” e vive a New York.

Poi ci sono i figli di Mentana e Lerner: Stefano Mentana e Davide Lerner, di loro non c’è scritto molto ma dubito che vivano a Forlì o Codroipo, ecco. Altri cognomi che forse sono solo omonimie, tipo Prodi, Bersani, Goria (Amedeo, proprio come il figlio di Amedeo Goria), chissà. Sofia Bettiza, figlia o nipote, mi dicono, del grande giornalista Enzo Bettiza (se non è così scusa Sofia).

Scopro che il giornale è stato presentato a Roma con un certo Eugenio Scalfari (forse omonimo anche lui).

I curriculum (prima di scaldarvi, leggete qua), sono tutti molto simili e meritano un piccolo elenco.

praticamente nessuno di questi ragazzi, tutti sotto i 30 anni, è rimasto in Italia, ma hanno “vagabondato” in giro per il mondo a studiare ovunque la loro bussola li portasse… insomma un po’ come i punkabbestia o gli artisti di strada, stessa cosa. più o meno:

ADRIANO PAGANI
Classe 1986, una laurea magistrale in Filosofia della Scienza e un MSc in Economics. Ha svolto attività di ricerca presso la Columbia University di New York e la London School of Economics.

ALESSANDRO ALBANESE GINAMMI
Nato il 9 gennaio 1987. Laureato in Storia. Dottorando in Storia dell’integrazione europea. Scrive di relazioni internazionali, in particolare Turchia-Unione Europea. Ha studiato a Londra, Bruxelles e Istanbul.

GIAN MARIA VOLPICELLI
Nasce nel 1988 a Roma. Dopo aver vagabondato fra Madrid, Mosca e Boston, oggi vive a Londra. Si interessa di Americhe, tecnologia e attori non statali.

NICOLA CAPANNELLI
Nato nel 1987. Laureato in Scienze Politiche, studia Relazioni Internazionali presso la Luiss “Guido Carli”. Ha vissuto per ragioni di studio in Sud Africa, Norvegia e Israele.

MARIA ELENA TANCA
Ha studiato Scienze politiche con indirizzo in Scienze della comunicazione alla Cattolica. Master biennale in giornalismo, è stata stagista ad Agr (Rcs). Ha vissuto in California e a New York.

AMEDEO G. GORIA
Nasce nel 1986. Ha vissuto a Roma per 4 anni (incidente di percorso, ndr) dove ha studiato filosofia. Dal 2009 vive a Berlino

FRANCESCA GIULIANI
Nasce nel 1988, vive a New York dal 2010 (cioè vive a New York da quando aveva 22 anni, ndr)

e così via.

Leggendo le loro brevi bio ovviamente penso subito: MA QUESTO E’ IL GIORNALE PERFETTO PER ME! Sono proprio come me questi giovani. Volenterosi, iper istruiti, nonostante le difficoltà che hanno dovuto affrontare nella vita (cognomi pesanti, molti sono “figli di”, eccessivo benessere, istruzione di alto livello, ecc.) sono riusciti a farsi strada nel fantastico mondo del giornalismo. Esattamente come me.

Sono quasi commosso, come quando dopo aver attraversato un deserto finalmente si riconosce un viso amico.

Gambino, Mentana, Lerner, Pinna, saremo come i tre moschettieri! (io d’artagnan).

Quindi decido di mandare il curriculum, e scrivo questa mail:

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Nella mail specifico la mia formazione (in ben due istituti della mia città di provenienza), le mie varie migrazioni nel raggio di 6 km, cambiando di volta in volta residenza e contratto adsl, fino all’approdo a Modena City. Per correttezza spiego anche chi sono i miei genitori, dato che, leggendo il sito, sembra essere uno dei requisiti più importanti. Mio padre non ha mai avuto un ruolo di responsabilità in tutta la sua vita, che io sappia, ma è stato sempre molto apprezzato dai colleghi (e meno dai sindacalisti). Insomma amici, sono uno di voi.

Ora attendo una risposta.

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Post della tonsillite/ La gerarchia delle notizie secondo Milano

è ormai diventato luogo comune (cioè lo è sempre stato) prendere per il culo i grossi siti di informazione per il mix di notizie vere, notizie forse non del tutto vere e minchiate totali. insomma una strage dove muoiono 300 persone e a fianco l’uomo con 3 peni e la marmotta con i baffi più lunghi del mondo, quel genere lì.

esistono però delle alternative a repubblica e il corriere (i più grossi e bistrattati) che invece ci raccontano tutto un altro mondo, quella parte di realtà che vale la pena di essere raccontata. ho preso come esempio due di queste alternative, due siti di informazione più “intelligenti” di quelli storici ormai defunti, entrambi con sede a milano. gli esempi vengono dalla  home online in questo momento (2/2/15)

 

ILPOST.IT

copertina:

Chi ha vinto il Super Bowl
E soprattutto le fotografie più belle della partita e del dopo

in evidenza:

Come ordinare una birra artigianale

Tra le ultime news:

I disegni condivisi su Instagram da Jamie Hewlett dei Gorillaz

Oggi è il Giorno della marmotta
A Punxsutawney Phil la marmotta sta per fare il suo atteso pronostico sulla fine dell’inverno

Ultimi video:

Tutti gli oooh-ooh della musica pop

I più bei combattimenti con la spada della storia

Delfini che fanno surf

 
VICE

Alcuni degli ultimi titoli:

Ho provato il test delle 36 domande per innamorarsi in 45 minuti

Facebook mi ha costretto a usare il mio vero nome, e ora non so più chi sono

Abbiamo parlato con l’attrice Caitlin Stasey di Hollywood e masturbazione

Sono andata a letto con il mio prof. del liceo, ed è stato fantastico – ma il resto ha fatto schifo

I Google Glass sono morti e anche i Glasshole non se la passano troppo bene

Ho convinto la mia famiglia a farsi di MDMA per parlare dei nostri problemi

Rick Owens ha sdoganato i peni flaccidi in passerella

 

ecco, ora non chiedetemi più se mi informo con il televideo solo per  fare lo snob. sì, è anche per quello, ma non solo.

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Faccio le foto a mia mamma nuda

A proposito di quello che dicevo qua, e cioè del fatto che gli artisti italiani giovani passano il tempo a fare progetti sulla loro famiglia, signori, abbiamo un vincitore: FOTOGRAFA SUA MAMMA NUDA SU VOGUE.

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Daniela, ritratto di mia madre
Uno dei ritratti appartenente a un progetto su mia madre iniziato nel 2009 e ancora in corso. Ho iniziato a fotografare mia madre per imparare ad usare la macchina fotografica. Ho continuato a fotografarla per passare del tempo con lei. Sto continuando a fotografarla per poter testimoniare e raccontare la nostra storia. Il nostro rapporto passa attraverso la fotografia e in un certo senso mi aiuta a conoscerla.

Non so, sono quasi commosso, è talmente preciso che mi fa sentire un profeta. Manca solo il termine “si configura” (di solito scrivono sempre che qualcosa si configura), per il resto c’è tutto. Come imparo a fare le foto? Fotografo mia madre. E parlo a tutti “del nostro rapporto”. Dove passa il vostro rapporto, ti prego diccelo! “attraverso la fotografia” (ma secondo me si configura).

Notare inoltre l’espressione dell’artista:

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Guardate lo sguardo.

Perderò 3 minuti del mio tempo con photoshop perchè penso meriti:

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Questa è abnegazione, e un bel taglio di capelli.

Il ragazzo sta LETTERALMENTE SCOPPIANDO D’ARTE.

Mamma, finalmente ho imparato a fare le foto e ora ci capiamo veramente grazie a Vogue.

Qui il resto.

E sì, si chiama davvero Niko Giovanni Coniglio.

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TOP 5 – Classifica del web italiano più frustrato e represso

Quello dove trovi gli utenti più frustrati e aggressivi, genere online sono un terrorista con il QI di Einstein e il pugno di Mike Tyson, ma offline mi cago sotto se qualcuno alza la voce o starnutisce per strada perché penso che ce l’abbia con me.

1) Wikipedia
2) Il forum italiano di WordPress
3) Reddit Italy
4) I forum di videogiochi, in particolare NGI
5) Tutti i forum ad argomento vagamente tecnico/scientifico

Aggiornamento classifica 19/4/17:

1) Reddit Italy

dopo due anni reddit italy va al primo posto. se vi siete chiesti dove sono finiti tutti i bravi giornalisti, gli scienziati, gli studiosi di ogni campo, tutte le persone eccezionali, ecco: sono lì. sono tutte lì a commentare. se c’è qualcosa di sbagliato nel mondo, su reddit italia se ne accorgeranno per primi.

2) Wikipedia

wikipedia italia si tiene la seconda posizione e resta una roccaforte del web frustrato represso aggressivo-passivo.

3) Il forum italiano di WordPress

il forum italiano di wp perde posizioni e credo che ne perderà ancora. purtroppo non c’è più quell’atmosfera folle, aggressiva e bipolare che lo caratterizzava fino a un paio di anni fa. i messaggi sono sempre meno, le risposte furiose ormai rare.

4) Hooki

new entry, questo sito di commenti di cui tutti hanno paura di parlare (pure io) perché poi loro parlano di te e si scatenano tipo branco selvaggio. dal punto di vista sociologico e antropologico è un fenomeno interessante: è una comunità di esuli, in teoria di nicchia ma di fatto abbastanza seguita. fanno le pulci anche alle pulci. tutti geni. livello di insoddisfazione personale: non quantificabile. si prevede una scalata della classifica.

5) I forum di videogiochi, in particolare NGI / Tutti i forum ad argomento vagamente tecnico/scientifico

questa è la vecchia internet. sempre stronzi, ma ormai invecchiano e sono da guardare come quelle tribù un tempo selvagge che oggi non fanno più paura e anzi vanno protette al grido di “viva i forum, abbasso facebook”.

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L’arte, all’improvviso

Visto in una casa privata. Purtroppo non so il titolo (se esiste)

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QUI versione grande (merita)

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In LOL we trust

I write of melancholy, by being busy to avoid melancholy. There is no greater cause of melancholy than idleness, no better cure than business.

 

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è quell’ambiguità di business che lo rende perfetto e dà spazio a scenari visionari.

pochi sanno che questa è una delle storie preferite di marchionne, gliela raccontava sempre sua mamma prima di non andare a dormire: http://it.m.wikisource.org/wiki/Favole_(La_Fontaine)/Libro_ottavo/XXVI_-_Democrito_e_gli_Abderiti

Lichene del mese: Usnea

perfetto come nome di un gruppo post-rock o post-metal, è un bellissimo lichene http://bit.ly/176isPu che può essere usato per arredare la propria casa nel bosco o per costruirsi una finta barba buffa:

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Aggiornamento: giuro che non lo sapevo, ma esiste già un gruppo di funeral sludge doom metal che si chiama usnea http://usneadoom.bandcamp.com/album/usnea come dire… tutto questo è già successo e succederà di nuovo.

 

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I para-artisti della para-arte

Le mie esperienze con l’arte contemporanea sono sempre traumatiche, ma non nel senso positivo del termine, di trauma che stimola, che provoca, che sorprende, che meraviglia (in tedesco traum vuol dire sogno). E’ più un trauma simile a quando becchi una pizza scarsa e la paghi molto: ed è in questo senso che sono traumatiche, perché a me l’arte piace, come la pizza, e piace anche l’arte contemporanea, in dosi basse e molto selezionate. E’ un po’ come per il cinema horror: ogni 100 film che escono, 98 fanno schifo, 2 sono bellissimi.

Perché sto scrivendo queste cose: per sfogarmi.

Location: piccola galleria d’arte, ovviamente non definita così perché è borghese, ma in modo più strano e originale. Collettivo “formatosi a Berlino”, cioè tutti residenti in Italia, però sono andati a Berlino, si sono formati, poi sono tornati a casa. Un po’ come quelli che vanno a sposarsi a Las Vegas.

Sento qualcuno dire “videoarte”, allora mi interesso, perché a me a volte la videoarte piace molto, anche se è sempre un fatto di numeri (si veda il discorso sul cinema horror). Quindi dico: proviamo.

Video in loop con due donne che si sputano a vicenda: sono madre e figlia. Sputano come le femmine, cioè poco e male, quindi è fin da subito deludente. Spero che la cosa degeneri, che si crei un momento inatteso, imprevedibile, un attimo inspiegabile, come dovrebbe fare l’arte. E invece niente: tra uno sputacchio e l’altro ridono, tipo video cretino di Youtube. Il video finisce e ricomincia.

Mi guardo intorno: gente vestita strana, altri vestiti normali che commentano “il bell’allestimento” (sintesi perfetta dell’arte contemporanea: siccome il quadro non c’è più, commentiamo la cornice).

Il video non lo capisco, o meglio lo capisco fin troppo, e capisco che non c’è nulla da capire. Non è bello da vedere, non stimola, non meraviglia, non provoca, sono solo due che si sputano a vicenda. Vicino c’è un mazzo di fogli A4. Temo che si tratti proprio di Quella Cosa.

Ma mi dico: smettila con i pregiudizi, magari non è così.

E invece sì.

E’ lei, è la SPIEGAZIONE.

Nel foglio A4 viene spiegato che il video INVITA A RIFLETTERE. Lo scopo dell’installazione artistica, dell’opera, chiamatela come volete, è far riflettere sulle dinamiche madre e figlia. Ora, posso testimoniare che il video non ottiene lo scopo voluto, non a caso necessita della didascalia, ovvero il famigerato foglio A4 con la spiegazione. Ci vuole più tempo a leggere quella che a vedere il video.

Sotto la Spiegazione c’è la bio dell’artista: soliti percorsi accademici, solito elenco di capitali europee, sempre le stesse.

Ma il problema non è il foglio A4. Quello è la conseguenza inevitabile del problema, che invece è all’origine: l’intenzione.

Far riflettere.

L’arte non deve far riflettere. L’arte FA riflettere, ma involontariamente, capita, succede, e ognuno fa le sue riflessioni. Invece questi artisti che nascono (già morti) in percorsi accademici sono ossessionati dall’intenzione di far riflettere. Come se Picasso dipingesse una capra dicendo: lo scopo è farvi riflettere sulle capre.

L’intenzione, la volontà, è nemica dell’arte. Va bene per gli studenti, per i critici, per i giornalisti, ma non per gli artisti. E non sono pippe: sono cose pratiche drammaticamente sperimentate sulla mia pelle di spettatore interessato. Quando vogliono farmi riflettere su qualcosa, il risultato è che non mi fanno riflettere, mi ammosciano e mi addormentano, e di sicuro non mi emozionano.

Come si fa oggi un’opera d’arte contemporanea?

Si fa così: si fa un percorso accademico (devi studiare da qualche parte per poi metterlo nel curriculum), ci si fa un sito fatto male dove non si capisce nulla, un logo e un nome un po’ radicali giusto per scandalizzare mamma e papà. Poi però si sceglie di far riflettere su qualcosa e, inspiegabilmente, nel 90% dei casi, si sceglie la PROPRIA FAMIGLIA.

E’ pieno di quadri, progetti, video, installazioni, performance, che parlano di famiglia. Progetto fotografico su mia nonna che fa la spesa. Video di mio padre che fuma la sigaretta alla finestra. Performance dove prendo a schiaffi mio padre (dopo che mi ha pagato 2 anni di erasmus, 5 anni di università, 3 anni di accademia a zurigo, viaggi a berlino, cazzeggio a new york, non contento LO PRENDO A SCHIAFFI), sputo in faccia a mia madre, mi faccio fotografare mentre bacio il cadavere di nonna, ecc. ecc. A quanto pare il mondo dei giovani artisti inizia e finisce sull’uscio di casa.

A quel punto il gioco è quasi fatto: basta inserirsi nel circuito giusto e ci siete.

Non sono necessarie ossessioni, ispirazioni, non è necessario aver vissuto, aver sofferto, voler rappresentare il proprio mondo, niente: basta che siate stati un paio di mesi a New York (ma va bene anche Berlino) e siate riusciti a convincere qualcuno a prendervi sul serio. Cosa che, incredibile, è molto più facile di quanto pensiate.

Poi ci mettete in mezzo o la vostra famiglia o una pseudocritica all’arte (infatti l’arte è critica dell’arte, mette in discussione se stessa), aggiungete un po’ di fluidi corporei per rendere la cosa trasgressiva, patologica, quindi saliva, sangue, sperma, cacca, pipì, e a quel punto siete quasi arrivati.

Dove?

A fare soldi no, quelli sono per pochi e al 90% non per voi. Ma siete arrivati dove volevate davvero arrivare, e cioè a sentirvi artisti.

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Una delle precedenti esperienze era stata questa (post del 2013 relativo a una giornata del 2011 o 2012):

 

12. Life during wartime

domenica, personale di un giovane artista al teatro civico. pompa magna, il comune ha speso e si vede. graziose signorine all’ingresso, il nome del giovane artista su un grosso pannello di legno, e tutto ciò che ne consegue. le sue cose non sono nemmeno male, opere d’arte realizzate con materiali di scarto + ammiccamenti insensati all’immaginario collettivo nerd (ma ciò che li rende interessanti è proprio l’insensatezza). siccome è lì ci scambio due parole, sento i prezzi, trasalisco, gli chiedo dettagli tecnici ma lui è sfuggente, come da copione. esco. fuori decine di bancarelle con persone qualunque che espongono le cosucce da loro realizzate: maschere, collanine, pupazzi, giocattoli e altre tenerezze personali che uscite dalle loro case rivendicano ora un improbabile riconoscimento. ovviamente, nessuno li caga. gli stessi che pochi metri prima ammiravano il giovane artista snobbano questi piccoli artigiani e passano oltre in cerca di un gelato. me compreso. la situazione mi sembra emblematica: si trovano a pochi metri di distanza, un po’ come i gatti sulla strada e i topi nelle fogne. perché lui? perché il giovane artista non ha una bancarella come tutti gli altri? perché lui dice millessette e nessuno ride mentre con quei disperati si tira il prezzo per arrivare a due o tre euro? penso che è un sistema crudele, ma anche che è così che funziona. qualcuno sì, qualcuno no. poi a casa scopro che anni fa il giovane artista ha preso parte a un noto spot pubblicitario e improvvisamente tutto torna ed è domenica sera e c’è report a confermare.

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Aggiungo: tutte le cose riconducibili all’arte che più mi hanno colpito negli ultimi anni, non venivano dal mondo dell’arte. Erano saggi scolastici di bambini delle elementari: un video fatto da bambini di 11 anni, e uno spettacolo teatrale fatto da bambini credo della stessa età. Era arte. Era spontanea, inattesa, bella e indovinate? Addirittura faceva riflettere.

Ora, se ci riescono dei bambini di 11 anni e non ci riuscite voi… vi invito a riflettere.

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Lingue che vorrei imparare

Lingue che vorrei imparare, nell’ordine: 1) napoletano 2) tedesco 3) rumeno

Le uniche tre che veramente mi piacerebbe imparare. L’italiano mi serve per vivere e per ascoltare l’opera, le altre non mi interessano o le vedo troppo lontane.

Lo spagnolo è bello scritto o parlato dai sudamericani, parlato dagli spagnoli è un latrato volgare e fastidioso. Dalle spagnole ancora peggio. Non c’è bisogno di fare esperimenti con gli umani, provate Google Translate e ditemi se non viene voglia di lanciare il monitor dalla finestra.

Il francese è bello da leggere e da cantare. Ma quando parlano sembrano degli handicappati.

Il russo è bello, ma è solo per i russi. Non è una lingua per comunicare, non è una lingua che possa diventare di altri. Come l’ebraico, l’arabo o lo swahili.

Il napoletano invece sì. Dovrebbe sostituire l’esperanto. Puoi dire tutto con il napoletano, anche le cose che non si possono dire.

E’ proprio apertura di mente, ampliamento dello spazio. Parlando il napoletano il cervello funziona meglio, riesci a pensare cose che non potresti pensare in altre lingue, un po’ come alcuni concetti filosofici che ci sono solo in tedesco.

Il tedesco si è semplicemente rivelato superiore agli altri, non c’è nemmeno bisogno di spiegare perché.

Il rumeno mi piace perché mi piace. Ha delle parole bellissime (ad esempio verità si dice adevăr) e alcune bruttissime, latino sporco, da lingua povera eppure di grande cultura, di grande pensiero.

Come tutti i bambini introversi da piccolo avevo fatto una mia lingua, e ho scoperto anni dopo che alcune parole esistevano veramente in diverse lingue. Questo dimostrerebbe che, in qualche modo, appartengo veramente alla cultura di questo pianeta, oppure che sono un alieno programmato per adattarsi molto bene.

 

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Report

Non sogno da tempo, ma a volte diciamo che lo faccio da sveglio, e uno dei miei incubi ricorrenti è finire in un’inchiesta di Report. Subito dopo i problemi di salute è l’ipotesi peggiore che riesco a immaginare. Mi sveglio una mattina e trovo una chiamata di mia madre. Messaggio: “chiamami”. Altro messaggio di un amico “O madonna, ma non sapevo. E ora cosa fai? Mi dispiace, ti sono vicino”. Chiamo mia madre, che mi spiega tutto. Cerco lo streaming su internet, c’è una mia telefonata intercettata, c’è un servizio con la videocamera nascosta, c’è la Gabanelli che fa lo sguardo gelido prima dello stacco pubblicitario, ci sono io che parlo con i sottotitoli, non si capisce bene cosa ho fatto ma c’è odore di inculata nell’aria, diciamo così. Fanno vedere delle tabelle, fanno vedere dei numeri, grafici, frasi evidenziate, zoomate su documenti protocollati, lauree false, persone con accento romano e la faccia pixellata, tutti elementi che portano a una conclusione: è colpa mia. Ho fatto qualcosa di terribile. Non so cosa, forse ho rubato soldi, forse hanno scoperto che, dal 2009 a oggi, non ho mai messo le marche da bollo da 1,81 sulle fatture, che a volte frego il pakistano con le monete, che se posso lavoro in nero, che a volte passo con il rosso, che se potessi fottere migliaia di sconosciuti lo farei, SCOPPIO A PIANGERE. Sono il cancro di questo paese, sono il paese di questo cancro, sono il sindaco di Cancrolandia, se mettono il mio sangue in quello di un’altra persona quella persona muore, se stringo la mano a una persona onesta quella prende fuoco tipo album dei Pink Floyd, sono amianto tra i capelli di una bambina, sono il petrolio sulle ali di un gabbiano, quando i bambini africani vogliono mangiare c’è qualcuno che dice “scusate bambini ma c’è un signore in italia che ha rubato tutto e quindi anche oggi non si mangia” e loro scoppiano a piangere, quindi chiamo ancora mia madre, che non risponde, chiamo perfino mio padre, ma non risponde nemmeno lui, allora sento suonare alla porta: sono gli sbirri. Primo pensiero: mutande pulite. Mi cambio velocemente mentre loro continuano a suonare, apro e non ho nemmeno il tempo di dire qualcosa: vengo incappucciato, portato via, caricato su un furgone, mezz’ora dopo mi fanno scendere, mi legano a una sedia, mi tolgono il cappuccio e sono in uno scantinato umido. Nel buio intravedo una figura che avanza verso di me. E’ la Gabanelli. Indossa una divisa da nazista sadomaso, in mano ha un frustino, si avvicina e io subito inizio a piagnucolare, velocemente mi passano per la mente le torture della Cia a Guantanamo, un paio di film horror recenti, le immagini di una colonscopia, mia madre che scuote la testa delusa, mia nonna morta, il mio cane morto, e poi dico “Va bene, confesso! Sono stato io! La colpa è mia! Faccio schifo!” ma la Gabanelli mi dice “Non è necessario che tu confessi, anzi: è del tutto inutile. Sei già colpevole” e di colpo lo scantinato viene illuminato da potenti fari, sulle pareti proiettano delle tabelle con dei numeri, vedo cifre a tre zeri, virgole, euro, iva, e dico “Scusi un attimo signora Gabanelli, mi perdoni, ma guardi che io guadagno poco, queste cifre non credo mi riguardino, a momenti vado a mangiare alla Caritas, per capirci, glielo dico con rispetto, mi creda, insomma ci dev’essere un errore”. La Gabanelli non risponde, piega leggermente la testa e dice “defloratelo”.

 

Vorrei dire che a quel punto mi sveglio, ma come ho detto all’inizio da un po’ di tempo non sogno, quindi queste cose le penso da sveglio. E non c’è modo di sfuggire se non: dormire.

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The social Network III

Iniziò così: alcune persone si svegliavano e come prima cosa controllavano Facebook, scoprendo di essere stati taggati in fotografie di serate a cui non avevano partecipato. Forse ho bevuto troppo, pensavo qualcuno, forse ho problemi con la memoria a breve termine, pensava qualcun’altro, ma nessuno all’inizio diede molto peso alla cosa. La vita continuava come sempre. Le persone uscivano di casa, incontravano un amico e si facevano una foto insieme, poi la mettevano su Facebook ma scoprivano che quella foto c’era già, era stata fatta il giorno prima. Nessuno dei due se lo ricordava, nessuno dei due trovava una spiegazione. Il fenomeno si diffuse sempre di più e sempre più velocemente. Persone che scrivevano status come “Oggi ho fatto gli gnocchi! erano buonis..” scoprivano di averlo già scritto con la data di ieri. Vennero interrogati scienziati, filosofi, programmatori, religiosi, i governi ordinarono ispezioni presso le server farm di Facebook, ma nessuno trovò una spiegazione. Mark Zuckerberg, ormai 80enne e paralizzato, aveva perso l’uso della parola da 10 anni e comunicava solo sussurrando strani mugolii nell’orecchio della moglie cinese, che traduceva per il resto del mondo. Molti giornali insinuavano che la cinese non traducesse veramente, altri si interrogavano sul mistero della sua eterna giovinezza. Anzi, col tempo era ringiovanita: più Zuckerberg invecchiava, più lei diventava giovane. Nel frattempo Facebook continuava ad anticipare sempre di più la realtà. Lo scarto aumentava. Le persone aprivano il proprio profilo e trovavano la foto di un anno dopo, abbracciati con degli sconosciuti, persone che ancora non avevano incontrato.

M. provò a cancellare il proprio profilo, ma era del tutto inutile, perché apparivano informazioni sulla sua vita nel profilo degli altri. Un amico lo chiamava e gli diceva “Tra sei mesi faremo una foto che fa morire da ridere, devi vederla!”. A quel punto si iscrisse di nuovo, per cercare di controllare la propria vita, per sapere cosa sarebbe successo. Un giorno aprì il suo profilo e trovò centinaia di saluti sulla sua bacheca: “Ciao, ti ricorderò sempre”, “Non ci posso ancora credere, non mi sembra possibile, ciao M.”, “Eri il migliore di noi, non mi sembra vero, Addio” e così via. Mancava un anno a quel momento. M. si interrogò sul da farsi: ringraziare gli amici delle condoglianze e poi aspettare? Ci pensò un po’ e alla fine decise di opporsi al destino e suicidarsi. Gli sembrava la cosa più sensata. Quindi scrisse un biglietto d’addio sul quale meditò molto, diceva così:

Perché l’ho fatto? Non c’è alcun motivo e non penso sia una tragedia per molti. Ma come una goccia che cade in un pozzo molto profondo l’eco è assordante solo per chi può sentirla. Addio. 

Era soddisfatto: postò la frase su Facebook e si impiccò. Ma non morì. Quindi si buttò dalla finestra, ma non morì neanche in quel modo, si fratturò una gamba e un polso e dopo qualche ora era dimesso. Allora tentò di tagliarsi le vene, di soffocarsi, avvelenarsi, ma scoprì che non poteva morire. Non ancora: la data fissata da Facebook era un’altra. A ogni tentativo però scriveva nuovi status di addio, perché ogni volta pensava che quella sarebbe stata la volta buona. Col tempo gli amici iniziarono ad apprezzare, i mi piace erano sempre di più e le condivisioni aumentavano esponenzialmente, e quasi un anno dopo la Mondadori gli pubblicò la raccolta, dal titolo ironico “Addio Facebook crudele”. Fu un caso editoriale e vinse un premio letterario. Il giorno della premiazione coincideva con il giorno della sua morte secondo Facebook e tutti si aspettavano che, una volta salito sul palco, proprio prima di pronunciare il discorso di ringraziamento, sarebbe morto davanti a tutti, perché nei film di fantascienza succedeva sempre così. Non era un caso ma un’idea del suo agente letterario, sapeva che così il libro avrebbe battuto ogni record. Alla presentazione c’erano migliaia di persone, addirittura c’era chi scommetteva. M. salì sul palco per ritirare il premio, ormai era quasi mezzanotte e dopo pochi secondi la giornata sarebbe finita. A mezzanotte e un minuto, durante gli applausi di rito dopo il suo breve discorso di ringraziamento, M. non era morto. Fece il gesto dell’ombrello davanti a tutti e disse “tiè” e andò via. Il giorno dopo la moglie cinese di Zuckerberg morì di infarto. Gli infermieri raccontarono ai giornali che in quel momento sul viso del padrone di Facebook apparve uno strano sorriso.

precedente: The Social Network II: Apocalypse

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Ma pur mi piace languir così

Invidio molto i musicisti perché dagli abissi peggiori dell’esistenza riescono a ricavare sempre qualcosa di sublime. Almeno, quelli bravi.

Ieri il mio amico Enrico ha sentito l’audio che ho registrato fuori casa e oggi me l’ha rimandato così, in versione musicale.

http://www.harrr.org/vmc/wp-content/uploads/2014/11/meh_mixdown.mp3

La cosa paradossale è che ora dentro casa ascolto l’audio di fuori casa, e mi piace.

Le finestre  sono chiuse, le ambulanze sono lontane.