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Sì, lo so, ho cancellato dei post

più per salvaguardare voi che per salvaguardare me.

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Conversazione tra un pastore errante dell’Asia e una promoter di Save the Children

B. parte e immediatamente mi sento solo. io, che vivo solo e riesco a non parlare con nessuno anche per 5 giorni di seguito – manco per telefono, anzi sopratutto. dev’essere l’effetto della città. questa massa di gente interconnessa, vedo le migliaia di relazioni come cavi luminosi che attraversano le vie, si incrociano, a volte si spezzano ma subito vengono sostituiti. vago così, forse sembro un turista, penso all’anomia secondo durkheim e mi trovo in uno di quei frequenti momenti in cui ho voglia di parlare con uno sconosciuto. e quindi incontro lei: silvia. come prima domanda mi chiede se ho a cuore la salvezza dei bambini di tutto il mondo. ci rifletto un attimo, perché non è una domanda semplice. i bambini. dunque. tutti i bambini di tutto il mondo? io che proporrei di portare l’età dell’aborto fino ai 4/5 anni? dico sì, ce l’ho a cuore. “evvai! allora la pensi come noi”. dunque mi dice “ti posso dire che lavoro fai?”. io rispondo “cioè me lo vuoi dire tu o me lo vuoi chiedere?”, perchè da come la pone lei sembra una cosa da zingara, tipo se indovino che lavoro fai mi dai 20 euro. lei sorride e dice “no no, io chiedo a te che lavoro fa e tu me lo dici”. “va bene, chiedimelo”. “che lavoro fai?”. noto dal tono che l’ho già innervosita, e me ne dispiace, perchè volevo essere simpatico. invento un lavoro e lei dice “figo!”. poi c’è una parte di discorso intitolata “ora ti spiego cosa facciamo noi di save the children” che dura 5 minuti e non ascolto. nel frattempo, non ho idea del perché, mi viene in mente che uno studio su femmine di topo gravide ha dimostrato che la luce arriva al feto, dove attiva una proteina necessaria per la vascolarizzazione della retina. penso di informare della cosa la mi amica silvia, ma mi sta ancora spiegando cosa fanno per salvare i bambini e dubito sia interessata all’esposizione della luce in gravidanza, anche se pur sempre di bambini di tratta, anche se bambini di topo. poi mi mostra una cartina del mondo dove sono segnati i continenti più poveri. ognuno ha un colore, tipo l’asia è gialla (scelta discutibile) e l’africa verde. mi chiede di scegliere il continente che vorrei aiutare. “mmm, non so. l’africa? sono quelli più sfigati, no?”. su “sfigati” lei accenna un mezzo sorriso imbarazzato, ma corregge la mia affermazione in “sicuramente è il continente dove i bambini hanno maggiormente bisogno d’aiuto. complimenti per la tua scelta!”. e poi arriva la parte triste, perché io continuerei a parlare con lei per mezz’ora, invece ora tira fuori il temutissimo modulo, mi spiega come si fa per sganciare i soldi ecc. ma in questi casi ho una rodatissima risposta standard: “guarderò il sito, firmare ora sarebbe un gesto impulsivo. e sai com’è, quando si tratta di soldi è meglio riflettere.” nessuno può obiettare a una frase così, anche perché la dico con un tono molto saggio e convincente. ci stringiamo la mano e la sua pelle è uguale a quella della mia dottoressa.

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No direction home

lui tunisino con gli occhi storti, io in teoria italiano e in teoria con gli occhi dritti. spacciatore, “per mangiare e dormire”, mi spiega. “ma veramente non ti ricordi dov’è casa tua?” “ehm no, mi sono perso” gli spiego. lottiamo per un po’ con il distributore delle sigarette, poi capiamo che non prende i 5 euro nuovi e fermiamo due ragazze che scappano via. riproviamo con un ragazzo che con la solita eccessiva e fuori luogo gentilezza emiliana ci dà 5 euro vecchi. prendiamo le sigarette e il mio amico tunisino mi accompagna verso casa, anche se nessuno dei due sa dov’è. gli dico che gli offro una birra, il bar però ha chiuso il conto, dicono che me la danno solo se ho i soldi giusti, ma io ho 50 euro interi, allora gli dico “ok, datemi 10 becks”, faccio ridere i camerieri e mi dicono “vabbè dai, aspetta” e mi danno due becks senza scontrino. con il tunisino camminiamo per un po’, lui in bici, io con le ali, mi chiede come sono le prigioni in sardegna, gli dico che non ci sono mai stato ma “credo che facciano schifo ovunque”. “no no no” mi dice serissimo “in certe regioni belle, in certe regioni brutte”. ah ok. ci separiamo e mi promette “se vieni domani [posto che non capisco] ti do fumo gratis, te lo giuro amico. perchè tu sei fuori anche senza fumo, sei simpatico”. gli dico ok, anche se il fumo, gli ripeto per la ventesima volta, non lo voglio. pacca sulla spalla.  giro ancora per un po’ con la becks in mano, incrocio una coppietta e mi sforzo di ruttare in loro corrispondenza peer gusto punk, ma non ci riesco. mi viene poco dopo. alla fine trovo la casa ed eccomi qua. buon natale.

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Nuotando nel cemento

ho sempre avuto questa fantasia di tuffarmi dentro i muri e muovermi negli edifici, da una stanza all’altra, nuotando nel cemento, freddo e accogliente. a scuola, soprattutto alle elementari, era una cosa che pensavo in continuazione: mentre la maestra parlava mi immaginavo prendere la rincorsa, lanciarmi contro il muro e nuotare nel cemento. andare nelle altre classi, apparire di qua e di là senza che gli altri se ne accorgessero – la mia faccia che spunta tra un disegno e l’altro appesi alla parete – e poi ascoltare le altre lezioni, spiare nei bagni delle femmine e infine andare fuori, nel giardino. perché l’obiettivo era ed è sempre stato quello: scappare via. non attraverso la porta,  non attraverso le finestra, ma passando dal muro.

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La valigia vuota

comunque c’è una grave frattura tra me e il mondo reale*. poco fa, siccome sentivo della musica forte provenire dalla piazza vicino a casa mia (denominata “piazza dello stagno” in quanto antistante allo stagno) mi sono avvicinato per curiosare – e già qui si capisce che la storia finisce in tragedia – e ho scoperto che era e tuttora è in corso un festival di hip-hop-breakdance-skaters-writing-ecc ecc. ovvero centinaia di giovani tutti uguali, depilati, inutilmente muscolosi, con tatuaggi orrendi, visi a metà tra l’ingenuo e il crudele, pronti ai peggiori peccati del mondo senza nemmeno accorgersi di commetterli, mediocrità, puzza di patatine fritte, nemmeno vuoto assoluto ma peggio: vuoto riempito di toraci depilati e puzza di patatine fritte; mi sono sentito come improvvisamente paracadutato nel deserto delle sabbie mobili, e senza dubbio avrei preferito essere retrostante e non antistante allo stagno. sono quei momenti probabilmente ben descritti da qualche vocabolo tibetano che ignoro, qualcosa a metà tra l’illuminazione e il suo contrario, pericolosamente vicini a una zona grigia oltre la realtà (metaforicamente viene abbastanza facile, dopotutto l’ho già fatto qualche mese fa, paragonare il tutto allo stagno, la Zona).

forse spaventato da queste sensazioni, ho messo in moto il cervello e in quel momento ho riflettuto su alcune cose che apparentemente non c’entrano niente:

– Houria Ivanan è stata la più grande cantante degli anni 80.

– nella pizza nessuno mette più l’origano, non so perchè.

– per i soldi, per i soldi, per i soldi. facciamo tutto per i soldi. e il bello è che quando non facciamo qualcosa, pensiamo: facciamo qualcosa per i soldi.

– poche regole, una: non prendere mai la pizza che ha il nome della pizzeria, fa sempre cagare, a meno che la pizzeria non si chiami “margherita”.

– la cosa terribile è che più vai avanti e più tua sorella ti viene dietro: va avanti anche lei.

*è evidente che queste righe potrei averle scritte nel 2003 o nel 2013, è indifferente.
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Ridi

la solitudine vera è trovare qualcosa che fa ridere e non sapere a chi dirla.
quindi la scrivi. inventi un dialogo dove qualcuno dice questa cosa e fa ridere.
che è davvero la cosa più patetica in assoluto.
crei un mondo che funziona, ma tu non ci sei, perchè scrivi sempre in terza persona.
un dialogo che nessuno leggerà o, peggio, leggerà qualcuno che non conosci, e la sua risata echeggerà a milioni di anni luce.

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La forfora, James Joyce (inedito)

Guardò assonnato i fiocchi, argentei e scuri, che cadevano obliquamente sulla sua giacca. Era venuto il momento di mettersi in viaggio verso occidente. Sì, i giornali avevano ragione: c’era forfora in tutta l’Irlanda. Cadeva dovunque sulla scura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva dolcemente sulla palude di Allen e, più a occidente, cadeva dolcemente nelle scure onde ribelli dello Shannon. Cadeva anche dovunque nel cimitero isolato sulla collina dove Michael Furey era sepolto. Si posava in grossi mucchi sulle croci storte e sulle lapidi, sulle lance del cancelletto, sugli sterili spini. La sua anima si abbandonò lentamente mentre udiva la forfora cadere lieve nell’universo e lieve cadere, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e i morti.

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C’è da spostare un bombo

piccoli drammi

http://www.youtube.com/watch?v=PGQHGKvQpcM&hd=1

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Obsolescenza programmata

Il più grande complotto mondiale basato sull’obsolescenza programmata è quello dei fiori. Possibile che nessuno se ne accorga? Le lobby dei fiorai ci campano da secoli. Per chi si fosse perso qualche video su Youtube: obsolescenza programmata vuol dire che un prodotto è pensato per avere una durata limitata in modo che, dopo un periodo prefissato, diventi inservibile e debba essere sostituito da un altro prodotto. I fiorai sfruttano tre grandi cardini del commercio: l’amore (i fiori per gli innamorati), la malattia (i fiori in ospedale) e la morte (fiori in cimitero). In questo modo tengono in scacco il mondo intero. Il business dei fiori finti non ha mai decollato veramente, questo anche perché i governi di tutto il mondo sono sostenuti dalle lobby dei fiorai.  E nessuno ne parla.

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La ragnatela

Di segni: http://www.sardegnaabbandonata.it/di-segni/

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Conversazione fischiata tra due contadini messicani

è una forma di linguaggio utilizzata in una zona meridionale del messico quando ci si vede ma non ci si può avvicinare tanto da parlare. allora si fischia. qui si trova la conversazione in wav e mp3 e la trascrizione. come si precisa nella pagina, a un certo punto suona un cellulare “ma non è stato trascritto”.

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Il futuro ci attende, non facciamolo aspettare


Ogni giorno centinaia di milioni di persone si masturbano sui siti porno. Secondo le previsione della FAO a partire dal 2020 le risorse del pianeta non basteranno a soddisfare il fabbisogno quotidiano di porno di tutta la popolazione. Gli analisti della FAO sono convinti che la soluzione sia il porno con insetti. In futuro ci dovremo adattare a masturbarci guardando accoppiamenti tra cavallette. Detto così può sembrare strano, ma è già la norma in diverse culture.

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In posa

Bellissima, mi ha ricordato il post sui testimonial.

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Come va, a parte le solite cose? Ah ah, sei sempre il solito (con appendice letteraria sulla figa e i calamari fritti)

Nel 1919 Auguste Dejardin individuò per la prima volta l’elemento chimico Solito. Il ricercatore lo individuò un pomeriggio domenicale, quando stai sul divano e pensi che anche se il mondo si accartocciasse in quel momento sparendo improvvisamente a te non cambierebbe nulla, ed era appunto a questo che stava pensando Dejardin quando sentì bussare alla porta e gli venne consegnato un pacco importante che aspettava da tempo. Circostanza strana per svariate ragioni: tanto per cominciare la domenica le poste non lavorano, e poi Dejardin non aspettava mai niente di importante, dato che era abituato fin dalla tenera età a non dare importanza a nulla. In questo caso però fece un’eccezione: era un campione costituito da un pezzo di deflettore elettrostatico in molibdeno bombardato con nuclei di deuterio nel ciclotrone dell’Università di Santadi. Erano passati mesi dalla sua prima richiesta e ormai quasi non ci sperava più, e invece eccolo là in tutta la sua bellezza: il campione di molibdeno bombardato con nuclei di deuterio nel ciclotrone dell’Università di Santadi! Dejardin spacchettò, sussultò e infine esaminò. Circa un mese dopo il professor Moreau dell’Università di Santadi – mittente del pacchetto ricevuto da Dejardin in quel pomeriggio domenicale – ricevette una risposta del suo vecchio allievo e ora stimato collega. O almeno così pensava, a giudicare dall’indirizzo; si trattava invece di una lettera della madre di Dejardin, la signora Adeline, che informava il professore dell’avvenuto decesso del suo amato figlio Auguste.  Si era impiccato proprio quella domenica dopo aver esaminato il campione di molibdeno speditogli dal professore.  Per la polizia non c’erano dubbi: si trattava di un banale suicidio. Anche la signora Adeline, dopo un dignitoso momento di disperazione, se ne fece una ragione e pensò che, tutto sommato, quel suo povero figlio era vissuto fin troppo. Ma c’era una cosa che non capiva, ed erano due semplici parole lasciate da Auguste su un bigliettino ricavato dalla carta da pacchi utilizzata dal professor Moreau per impacchettare il campione di molibdeno. Auguste, poco prima di togliersi la vita impiccandosi nel bagno, aveva scritto semplicemente “IL SOLITO”. La povera signora Adeline non riusciva a capire cosa volesse dire con queste sue ultime parole, così aveva deciso di rivolgersi per iscritto al gentile e affettuoso professore. Il quale, lette quelle parole, dovette mantenersi ai braccioli della seggiola per evitare di finire a gambe per aria. “L’ha trovato! Auguste l’ha trovato!” ripeteva come impazzito. Era il 1919 e il Solito – il cui simbolo è Sl – era stato individuato per la prima volta in un campione costituito da un pezzo di deflettore elettrostatico in molibdeno bombardato con nuclei di deuterio nel ciclotrone dell’Università di Santadi.

Vabbè, chiedo scusa per il freestyle ispirato dalla parola solito… Non so nemmeno io com’è successo. E’ che ogni volta che qualcuno mi chiede “allora come va, a parte il solito?” penso a quei film americani dove c’è sempre uno che al bar chiede “il solito”, solo che la barista dovrebbe rispondere “malessere, morte e disperazione?” e il personaggio “sì, con ghiaccio”.  Il fatto è che è difficile metterlo da parte, il solito.

Concludo con un appendice ispirata dall’odore che sta arrivando in questo momento dalla finestra.

mi sono sempre chiesto come dev’essere abitare vicino a un ristorante che fa cose buone. da qualche mese l’ho scoperto, ed è come pensavo: terribile. tu sei lì che ti mangi una patata lessa condita con olio di sburro perchè quello di olive extravergini è finito da due giorni e non hai avuto voglia di fare 50 metri per andarlo a comprare, e dalla finestra ti arriva odore di calamari fritti. e allora le cose sono due: o chiudi la finestra e mangi triste, ben sapendo quale orgia di delizie e di sapori attende i più fortunati nel mondo esterno, oppure tieni la finestra aperta fingendo che le patate lesse siano calamari fritti. un’illusione che non dura nemmeno mezzo secondo, quindi tutto si riduce a mangiare triste con la finestra aperta oppure chiusa. e ciò conferma un’altra mia ipotesi: l’inferno è un posto dove c’è odore di calamari fritti ma tu non puoi mangiarli.

questo mi fa venire in mente un libro che stavo leggendo da poco, non ricordo più quale, dunque non mi è piaciuto, ma c’era un passaggio che mi ha fatto capire molte cose sullo scrivere, dato che si impara di più dai libri brutti che da quelli belli. un personaggio vagava disperato in un paese all’alba e lo scrittore si era dato da fare per descrivere tutte le sensazioni, l’aria fresca dell’alba, quella luce particolare che noi tutti conosciamo eccetera eccetera. ma non parlava dell’odore del pane. ma porca troia, hai mai REALMENTE girato un paese a piedi, solo e disperato, all’alba? la cosa che ti stordisce assolutamente è l’odore del pane appena sfornato: è così forte che non riesci a pensare, non percepisci altro, solo quell’odore di pane, come se avessi la testa dentro il forno. è la stessa cosa che capita in quei romanzetti erotici dove non si dice mai che la figa puzza di pesce. quanto sarebbe diverso il mondo se invece sapesse di calamari fritti? non dico meglio o peggio, ma diverso.

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Idee per una gioiosa spettacolarizzazione del papato di Bergoglio Jorge Mario

Ieri notte ho avuto un’idea per il più spettacolare evento di sempre: inserire una bomba all’interno di un neonato, andare in piazza san pietro, passarlo al papa per farglielo baciare e allontanarsi velocemente.

 

Un’alternativa meno eccessiva – considerati i dilemmi etici e l’evidente difficoltà di inserire una bomba all’interno di neonato: credetemi, non è semplice – è passare al papa un neonato due secondi prima di una potentissima colica e poi allontanarsi altrettanto velocemente.

Il giorno dopo le prime pagine dei giornali di tutto il mondo avrebbero una foto del papa con ESCREMENTI DI NEONATO IN BOCCA. Roba che non si vede da prima del Concilio Vaticano II.

Un’idea ancora più simpatica, diciamo una via di mezzo tra le prime due, è cospargere la testa del neonato di super attak: a questo punto o il papa si strappa la bocca o fa strappare il cuoio capelluto del neonato.

Oppure ci si abitua e se lo tiene, passando così alla storia come il secondo papa mutante (ce ne fu un altro nel medioevo). Comunque lo spettacolo è garantito.