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Che ti piace, dimmi tu

Una storia ebbi d’amore, mi ricordo un mese fa, mi batteva forte il cuore, con la dolce mia beltà, nella stanza tutta rosa spensi il lume a tu per tu, disse lei “facciam qualcosa”, che ti piace, dimmi tu?

A me piace la testina di vitello, con l’aceto l’olio e il sal, col prezzemolo è special. Tra una gita in barca a vela o i tuoi baci, ti dirò, la testina di vitello sceglierò.

https://www.youtube.com/watch?v=AuquuiUHpwE

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Un martello nel cervello

oggi si spreca l’aggettivo “iconico” a ogni piè sospinto, ma nel caso del carabinierismo l’oggetto martello si può senza dubbio alcuno definire iconico e non per questo temere di diventare pelati e milanesi. è uno dei topoi del carabinierismo contemporaneo. i carabinieri hanno infatti un rapporto speciale con il martello. prima del manganello, prima della pistola, forse solo al pari con il loro amato cappello, è il martello che conduce il carabinieri in spazi mentali che i civili non possono nemmeno intuire. perchè il carabiniere ha un uragano nel cervello, vorrebbe pensare ma non può, i pensieri si concentrano, si accumulano, formano un grumo di materia grigia sotto il cappello con la fiamma, come in un’orrida fucina dove cresce e mai non resta, delle incudini sonore, l’importuno strepitar, alternando questo e quello, pesantissimo martello, fa con barbara armonia, muri e volte rimbombar e il cervello poverello, già stordito sbalordito, non ragiona, si confonde, si riduce ad impazzar. e non, come cantava rita pavone, dare il martello in testa a chi non mi va, o meglio: a un livello più sottile, subliminale, chi non ci va siamo noi, il martello è a noi che lo vogliamo dare in testa.

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Per un uso corretto dello sfollagente

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mi sembra doveroso fare un po’ di sana divulgazione, visti i recenti episodi che hanno visto ancora una volta contestatori e forze dell’ordine confrontarsi. c’è un punto soprattutto sul quale secondo me si fa tanta confusione: lo sfollagente, ovvero il manganello.

leggendo nel sito della Police Combat, una scuola di combattimento di Pordenone che fa corsi di aggiornamento ai corpi di polizia, si legge una guida entusiasta a questo fantastico strumento che, come scrivono loro, “è troppo spesso considerato uno strumento  iniefficace inadatto ed anacronistico da gran parte degli operatori che lo hanno in dotazione”.

parole sante. soprattutto i più giovani forse vorrebbero bazooka o laser o cose  da iron man, invece sottovalutano il manganello semplicemente perché in molti casi – non in tutti, parliamo di una parte, ci sono anche quelli che sanno usarlo benissimo – non ne conosco del tutto le potenzialità.

ma prima vediamo le caratteristiche del “presidio” (lo chiamano così).

L’arma è realizzata in gomma, solitamente nera con dimensione totale di 60 cm. La sezione è circolare di diametro di circa 3cm la punta è arrotondata ed il manico realizzato in corpo unico e semplicemente sagomano con dimensione di 12 cm. il peso dell’arma è di circa 420 gr. L’arma solitamente è corredata da un laccio di “trattenimento”

La principale caratteristica principale è, non tanto la deformabilità della gomma rispetto al suo asse longitudinale, quanto l’aumento della stessa in base all’aumento della temperatura, sia essa esterna (dovuta alle caratteristiche atmosferiche), sia interna dovuta all’uso.

Per dare un esempio, è stato testato dallo scrivente che dopo 15 colpi portati su un manichino, la temperatura interno dello strumento (misurata con una sonda), aumenta di 2.5° circa. Un tale aumento con temperatura esterna di 27° a partita di forza impressa aumenta il raggio di curvatura sull’asse longitudinale di ben 35.2 mm.

Ne consegue che l’utilizzo dello strumento per tecniche di contenimento passive (es. leve articolari), deve essere fatto con particolare attenzione e consapevolezza..

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dunque prima cosa importante da sapere: se colpite per 15 volte una persona ricordatevi che la temperatura interna del manganello aumenta di due gradi e mezzo (circa). questo aumenta il raggio di curvatura sull’asse longitudinale.

durante i corsi si cerca di creare un feeling tra il presidio (il manganello) e il suo utilizzatore (l’operatore di polizia):

Il programma addestrativo, pur nei limiti di tempo imposti dalla logica e dalla logistica delle caratteristiche lavorative, prevede un utilizzo costante dello strumento, che deve essere maneggiato anche nelle pause didattiche, allo scopo di sfruttare tutto il tempo a disposizione per creare il giusto feeling operatore – arma.

altre cose importanti, sapere dove colpire e non lasciarsi andare troppo, anche per questioni di immagine:

…peculiarità dell’intervento di Polizia, mirato non all’annientamento dell’avversario, bensì al controllo del sospetto, nell’ottica della tutela del sospetto, dell’operatore e dell’immagine del corpo di appartenenza, da ciò:

– Individuazione dei bersagli da colpire, individuati con il collaudato sistema dei colori abbinati alle varie zone anatomiche.
– Massima mobilità.
– Massima attenzione a non farsi sottrarre lo strumento.
– Studio delle tecniche di difesa portate retrocedendo.

 

per quanto riguarda gli aspetti più tecnici, è fondamentale l’impugnatura, la migliore è quella corta:

Impugnature, classica, doppia (presa con due mani), corta (particolare impugnatura che permette di usare l’arma a cortissima distanza con estrema efficacia e con bassissimo impatto visivo, ottima per ordine pubblico).

sugli usi alternativi rimandiamo alla prossima lezione.

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La soluzione definitiva per fermare l’ISIS

E’ mandare la Bartoli nei territori controllati dall’Isis e/o diffondere tramite altoparlanti questi tre minuti di devastante furia totale:

https://www.youtube.com/watch?v=Keq65ZhClWI

Grazie agli amici di opera akbar per la segnalaz.

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Siccome poi mi dite che non parlo mai della polizia

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Eccovi accontentati, con questa famosa installazione alla Biennale di Genova del 2001. Di quell’anno ricordo diverse opere che si concentravano sull’idea di sangue, non particolarmente originali (tranne questa che riporto) e a mio parere già viste e un po’ troppo influenzate dalla visceralità di Hermann Nitsch e in generale dall’Azionismo Viennese. C’era sangue ovunque, dopo un po’ stancava, diciamolo. Io sinceramente ho sempre preferito le correnti artistiche meridionali, in particolare il carabinierismo. Comunque mi è sembrato giusto dare spazio anche all’arte poliziesca.

#arte

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Un’opera provocatoria

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E qui si provoca, signori miei. Questa è arte che provoca, non ci sono dubbi. C’è di sicuro del neoclassicismo, ma allo stesso tempo quest’opera anonima (“Carabinieri di Catania” è il nome di un collettivo già autore di altri pezzi interessanti ma spesso non rivendicati) è parodia irriverente: la posa plastica, le giare di terracotta, gli strumenti a fiato per terra, il carabiniere di sinistra che tiene in mano un clarinetto come se impugnasse un fucile. Impossibile non cogliere i riferimenti alle performance che l’Isis sta compiendo nella città di Hatra dove le statue vengono distrutte a colpi di kalashnikov. Quest’opera catanese si inserisce nella corrente del vasismo, di scuola napoletana, di cui forse cita il celebre “Carabiniere dà le spalle ai vasi”, opera di qualche anno fa tuttora insuperata per l’emozione e la tensione che crea nello spettatore, dove i vasi rappresentano un vero e proprio paesaggio interiore del soggetto in primo piano che volge lo sguardo fondamentalmente verso se stesso.

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La bara del signor Ivano

https://www.youtube.com/watch?v=NbIpdbqzmr8

– il veneto
– un sogno con la madonna
– una bara sul mercedes cabrio
– una pista da motocross
– un contenzioso con il comune
– una discarica da bonificare
– la bara pagata 500 euro, usata
– il sindaco che ha preferito non commentare la vicenda
– il commentatore di youtube che invece la commenta così:

Purtroppo in veneto se parli di motocross e come parlare del diavolo (meglio mandare i figli in giro a bere e drogarsi perche’ e’ meno fatica)

 

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Nuova corrente

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Nuova corrente del carabinierismo: il biciclettismo (vedi precedenti).

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Il grattauccello

anni fa mi era venuta un’idea per una storia ambientata all’ultimo piano di un grattacielo. il piano restava isolato, senza che il motivo venisse spiegato, quindi gli impiegati di un ufficio dovevano sopravvivere come se fossero rimasti intrappolati in cima a una montagna. la cosa frustrante è che dalle finestre non vedevano nulla, solo le cime di altri grattacieli. dopo un po’ il cibo finiva, iniziavano a industriarsi in vari modi. c’era poi un’evoluzione nella trama  e nei personaggi, si andava verso la violenza, l’istinto di sopravvivenza, tipo che i protagonisti cercavano di catturare gli uccelli per mangiarseli, poi litigavano tra loro, si ritornava ad essere selvaggi e altre cose tipo signore delle mosche.  impiegati con la cravatta intorno alla testa che aggredivano distributori di cibo per mangiare gli ultimi snack, le donne violentate, ecc.

all’epoca mi sembrava una cosa divertente pensare queste cose, quindi avevo come si dice “caratterizzato” ogni personaggio, studiato le varie dinamiche, ecc. ecc. ma soprattutto mi ero documentato sui grattacieli, dato che il palazzo più alto dov’ero stato era alto 8 piani (solo 2 anni fa sono arrivato all’undicesimo piano di un altro palazzo, finora il punto più alto). quindi scoprii la fantastica epoca d’oro dei grattacieli quando, principalmente in america, si faceva a gara a chi ce l’aveva più alto. gara che oggi è passata in altre zone del pianeta, tipo dubai.

in quel periodo pensavo che per scrivere bene le cose bisognasse fare delle ricerche, quindi passai un paio di mesi a leggere tutto il leggibile sui grattacieli. scaricavo la storia di singoli edifici, le planimetrie, migliaia di foto, insomma alla fine avevo materiale per due o tre tesi sull’argomento, 30 pagine di personaggi, 4 o 5 pagine di possibili interpretazioni della storia, insomma c’era tutto, tranne la storia. e alla fine, come quasi ogni volta, lasciai perdere pensando che non ne valeva la pena.

oggi ho trovato questo bel pezzo del guardian (anticipazione di un libro) dove si parla appunto dei grattacieli, e mi trovo d’accordo con l’autore quando dice che li odia  ma allo stesso tempo ne adora la loro “Promethean swagger”, che immagino si possa tradurre con arroganza, spavelderia prometeica, spacconeria mitologica insomma. c’è l’idea, nel grattauccello, non di scalare la montagna, che già è segno di arroganza umana, ma di costruirla, la montagna. e per salirci ci facciamo un comodo ascensore.

quest’idea folle della verticalità eccessiva non ha mai smesso di affascinarmi e infastidirmi. io poi, che da bambino disegnavo ossessivamente (ma davvero eh) costruzioni rigorosamente sotterranee. per me la direzione giusta era quella: verso il basso. quindi quest’idea di andare verso il cielo, non tanto verso dio al quale non ho mai creduto, ma verso quest’assurda e pericolosa opposizione alla gravità, controcorrente insomma, mi turbava e mi turba ancora, e allo stesso tempo mi inebriava. mi dava le vertigini.

la mia storia dei tipi intrappolati all’ultimo piano di un grattacielo alla fine non mi convinceva perché era banale. cioè era bella, ma mentre mentre la pensavo e scrivevo mi sembrava di averla già sentita o letta. un po’ perché appunto ho passato due mesi a pensare solo a quello, quindi mi sembrava così ovvio che qualcuno restasse isolato dal resto del mondo all’ultimo piano di un palazzo che non c’era bisogno di scriverla, un po’ perché come spesso mi capita ero uscito fuori dalla mia linea temporale ed ero stato copiato da qualcuno nel passato.

infatti leggendo l’autobiografia di buster keaton ho scoperto che negli anni ’20 (cioè il periodo in cui c’era la battaglia dei grattacieli soprattutto a new york) era stata pensata una storia simile, anche se non è mai stata realizzata. in questa storia buster porta una ragazza a vedere il panorama in cima a un grattacielo in costruzione. viene proclamato uno sciopero e gli operai alla base del grattacielo tolgono la corrente. in pratica buster e la ragazza restano intrappolati in cima al grattacielo senza che nessuno sappia che sono lì. come sempre nei film di keaton, si passa da una situazione in cui lui è inadeguato, a una fase di adattamento seguita poi da una fase di sovra-adattamento, dove la situazione assurda sembra normalissima.

quindi buster costruisce un riparo usando lastre, viti, travi e altro materiale di cantiere, un recipiente per raccogliere l’acqua piovana e, anche qua, una trappola per catturare gli uccelli di passaggio. dunque anche loro, in cima alla civiltà, devono fare i conti con la sopravvivenza. perché il film non è mai stato realizzato? perché l’autore non aveva trovato un finale abbastanza convincente, in particolare non sapeva come far scendere i due protagonisti.  che poi forse era anche il mio problema.

paradossalmente entrambe le storie, la mia e quella dell’autore di buster (non ricordo il nome, sherwood forse), sono andate troppo in alto e sono rimaste bloccate lassù, senza sapere come scendere.

 

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Le mie serie tv preferite

Ora, pensateci bene, c’è ancora qualcuno che conoscete che non vi ha scassato il cazzo parlandovi delle sue serie tv preferite? Che poi le chiamiamo serie tv, ma dovremmo chiamarle serie internet, serie web, serie vu vu vu pensaci tu. Nel senso che nessuno di noi – a parte mia madre – le vede realmente in tv. Detto ciò, ormai anche l’idraulico se viene a sturare il cesso* è capace di commentare l’ultima puntata di Games of Thrones o House of Cards (a prop. la terza stagione non si può guardare). Siccome, come disse un uomo molto saggio, credo nel web come strumento di elevazione spirituale, ho deciso di adeguarmi e dire pure io quali sono le mie serie tv preferite. Volete fare gli snob con i vostri amici che si credono snob perché guardano le serie tv però solo quelle inglesi che sono migliori delle americane? Seguitemi in questo elenco puntato.

  • Satantango – Bela Tarr ha sbagliato epoca, non è manco del cinema muto, è cinema medievale, è come se si fosse svegliato nel 1145 con una cinepresa in mano e avesse iniziato a rappresentare la fine del mondo. Poi la fine è arrivata davvero, con Il cavallo di Torino, dove c’è appunto la fine del mondo e anche la fine di Bela Tarr, che ha smesso di fare film. Comunque Satantango in teoria è un film  che dura 435 minuti, diviso in 12 puntate. E quindi è al primo posto tra le mie serie tv preferite.
  • Heimat – Questo dura molto. Sono tre stagioni, la prima 15 ore e 40 minuti (11 episodi), la seconda 25 ore e 32 minuti (13 episodi), la terza sono solo 6 episodi (però 11 ore e 39 minuti). Al prossimo che vi chiede se avete visto l’ultima di Walking Dead voi chiedetegli se ha visto l’ultima della prima stagione di Heimat (che si chiama “La festa dei vivi e dei morti” appunto).
  • The Kingdom – Quando volete rompere le palle a qualcuno dite “Lars von Trier”. La gente non si controlla, inizia a sputazzare, si gonfiano le vene del collo, usano parole che di solito non usano. A me piacciono i film di Lars von Trier, e anche The Kingdom, che è una serie tv a tutti gli effetti composta da 8 episodi. La storia è ambientata in un ospedale danese chiamato Il Regno. Incubo, follia, meraviglia. Ricordo una recensione dove si diceva “spettatori chiamati a durissima prova”.  Ecco, per una volta, dai che non vi fa male.
  • Fanny e Alexander – Uno degli ultimi capolavori cinematografici di Bergman è nato in realtà per la tv. Cinque ore, divise in vari episodi che oggi si possono trovare su youtube. In sostanza è l’autobiografia di Bergman da bambino. Dire che è un capolavoro dovrebbe bastare. Ma se preferite guardate Vikings, chi vi ferma. Ogni tanto bisogna guardare qualcosa di leggero, no? Certo. Avvisatemi quando non guardate qualcosa di leggero, me lo segno nel calendario.
  • Das Schloss – Questa non è manco una serie, lo metto giusto per rompere le palle. E’ un film tv che dura solo 124 minuti adattamento dell’immenso, infinito, incompleto e inspiegabile capolavoro Il castello di Kafka, girato da Haneke. Non è male, non è manco chissà cosa, però c’entra Il Castello di Kafka, e quindi sono comunque 124 minuti di pura elevazione spirituale.
  • Twin Peaks – Beh, questa è davvero una serie tv. Non posso non metterlo. Non c’è niente da dire. E’ Twin Peaks. Anzi sì, sempre per rompere le palle ai vostri amici (se ne avete eh) c’è da dire che non è vero che la seconda stagione è brutta, anzi. Io preferisco proprio la seconda. La prima ti prepara, c’è la storia, ci sono i personaggi, c’è la trama, ti immergi nel mondo di Twin Peaks: una volta immerso, nella seconda folle stagione vieni affogato, naufragato. E naufragar m’è dolce ecc. ecc.
  • Il segno del comando – Occultismo, Byron, Roma, misteriosi orafi del ‘700, Ugo Pagliai, Carla Gravina.  Anche questa è una serie tv a tutti gli effetti. Al tempo li chiamavano sceneggiati. Roba raffinata e popolare allo stesso tempo, fatta benissimo. Sono 5 puntate da 60 minuti fatte dalla Rai nel 1971. E sono bellissime. Tanto che alla fine ne vorreste altre 5, altre 15. Varrebbe la pena pagare il canone anche solo per questa serie fatta 44 anni fa.

*a qualcuno potrebbe venire il dubbio che io non sia sufficientemente uomo dato che chiamo l’idraulico per una cosa elementare come sturare il cesso. ebbene, in alcuni casi non si può fare altrimenti. ho scoperto che vengono con questo tubo che spara aria compressa e pulisce tutto… cioè, non ho capito cosa succede veramente, mi piace pensare che da qualche parte in città a qualcuno sia schizzato fuori un grumo di roba dal lavandino sparato dal mio bidè. 

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L’atlante delle deiezioni canine

oggi ho visto un video con un titolo a cui non ho potuto resistere: Bari, in azione gli 007 delle cacche dei cani

il mio cervello mi ha suggerito che dietro questa combinazione imprevedibile, cioè BARI + 007 + CACCA + CANI, ci fosse qualcosa di imperdibile.

il mio cervello non si sbagliava.

ci troviamo di fronte a un piccolo capolavoro, e sono serio.

sei minuti totalmente inaspettati a metà tra l’inchiesta giornalistica e il surrealismo più raffinato. nel titolo del video si parla di “cacche dei cani” ma nel video saranno chiamate sempre e solo “deiezioni canine”, e anche in questo post.

invitandovi alla visione del suddetto capolavoro faccio notare:

– il personaggio nuovo e già leggendario dello sceriffo delle deiezioni con tanto di distintivo e occhiali a specchio, orgoglioso del fatto che anche “persone che hanno avuto problemi con la giustizia” rispettano il suo ruolo.

– la giornalista che per tutto il servizio la chiama “la deiezione canina”. “ho visto che lei ha raccolta la deiezione canina con la bustina”.

– la padrona di cane di grossa taglia che dice “viste le sue dimensioni non passano inosservate le sue deiezioni”

– l’inizio con la musica dei film di james bond e una velocissima (ma raffinata e quindi non sfuggita agli occhi più attenti) ripresa da terra, cioè la soggettiva di una deiezione. ardita e apprezzata.

– al minuto 0.13 un cazzo disegnato sul tronco di un albero. immagine-manifesto di un gioioso, infantile e libero degrado che non a caso viene sapientemente tenuta per diversi secondi. mettiamo fiori nei cannoni e disegniamo cazzi sugli alberi. immaginazione al potere.

– il commentatore che propone una soluzione geniale: “Si potrebbe prendere il DNA del cane all’atto dell’iscrizione all’anagrafe canina, ma altrettanto si dovrebbe fare per i cani a due zampe che orinano per strada e fanno a volte, anche loro, la cacchina per strada”. cioè andare a prendere il dna di tutte le deiezioni canine trovate per strada e poi cercarle nel database mondiale per risalire al proprietario, che riceverebbe una telefonata tipo “buonasera, ufficio deiezioni canine: il suo cane il 13 maggio 2011 ha cagato in viale mazzini, sono 300 euro”. è il futuro.

– mi viene in mente un’intervista di mastroianni da letterman dove si lamentava del fatto che a los angeles fosse tutto troppo pulito in confronto all’italia e non ci fossero le deiezioni canine, cosa che a lui invece mancava. mastroianni era molto avanti, letterman non lo capiva. c’è su youtube, non ho voglia di cercare, cercate voi.

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Inspiegàbile agg. [comp. di in-2 e spiegabile]

l’arte è pura quando si capisce senza sforzo ma per spiegarla bisogna sforzarsi.

ecco un esempio (sì, sono ossessionato):

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vi invito a cliccare sull’immagine per vederla a grandezza intera.

ora, è chiaro che si potrebbe parlare per ore di un’immagine così.

apparentemente rientra nelle correnti artistiche già descritte in due raccolte (testimonial, 2012 e generazione perduta, 2014) ma allo stesso tempo ne è eccezione, forse sintesi, superamento.

sono da anni convinto che l’arte vera e pura sia questa, quella involontaria, letteralmente senza volontà, quindi non per forza inconsapevole, ma che sia fatta con abbandono. e che non abbia autore. chi è l’autore di questa foto? un fotografo? un collega carabiniere? io che la riporto e che ne correggo leggermente i colori? nessuno.

osserviamola attentamente.

i due carabinieri inginocchiati, uno di fronte all’altro, che si fissano, e tra loro una piccola foresta di cannabis. sullo sfondo tre elementi asimbolici, presimbolici, supercazzolasimbolici. un quadro elettrico, due manifesti che celebrano l’Arma. i due sembrano rivivere una situazione infantile, si guardano sornioni, e siamo certi che non è l’imbarazzo della foto a dare questa impressione, ma qualcosa di molto più potente, oscuro e inspiegabile.

e poi il pavimento.

il pavimento è uno spazio vuoto, un mare metafisico sul quale galleggiano le due figure. un sostegno illusorio, temporaneo, come l’amore, l’amicizia, la famiglia, il denaro. tutto potrebbe smaterializzarsi.

è come se una frazione di secondo dopo il clic che ha immortalato la scena i due  carabinieri fossero caduti, scomparsi. la loro struttura atomica ha smesso di esistere.

questo, oltre a confermare quanto già detto, conferma anche che i carabinieri sono i più grandi performer dell’arte contemporanea e nessuno se ne accorge, nemmeno loro, ed è in questo che sta la loro grandezza (per quanto anche poliziotti e finanzieri ci provino, ammettiamolo).

per elevare l’esperienza estatica di questa immagine vi consiglio di fissarla a schermo intero con in sottofondo questo mozart 19enne https://youtu.be/CC-0Fv04yWU  che aveva preso da poco la patente ma era già destinato all’immortalità. la scena sembrerà animarsi, in un allegro vuoto che riempie lo spazio e il tempo.

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Il più grande esperimento di ingegneria sociale della storia

Nel 2018 Arturo Ferrigno venne arrestato. Il suo venne definito “il più grande processo di stalking della storia”.

Il suo piano era partito 8 anni prima, nel 2010. Ferrigno, giovane considerato geniale, laureato in fisica e grandissimo giocatore di scacchi, si innamorò di Bianca Balti. Al processo spiegherà che a farlo innamorare fu questa foto:

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A dire la verità il Ferrigno non usò mai il termine “innamorare” ma parlò sempre di “mettere in atto il piano”. Decise infatti che lui sarebbe riuscito a fare colpo sulla Balti, che non conosceva e non aveva mai visto, utilizzando il metodo scientifico. Mise in atto quello che più esperti considerano il più grande esperimento di ingegneria sociale della storia.

Per 8 anni studiò il comportamento individuale della Balti tramite studi semantici sulle interviste, studi prossemici delle apparizioni in video o nelle sfilate, fino a quotidiani pedinamenti. Scoprì i gusti della Balti in ogni campo possibile: musica, cucina, libri, cosmetici.

Il Ferrigno, dopo 8 anni di studi, sapeva della Balti più di quanto la Balti stessa poteva sapere. Grazie alla sua mente scientifica riuscì a progettare il soggetto ideale che potesse colpire la Balti. A quel punto, con questa certezza matematica, si applicò per un anno intero, un anno di totale abnegazione, durante il quale continuò a pedinarla e a studiarne i comportamenti, per interpretare alla perfezione il personaggio che avrebbe fatto innamorare la Balti.

Nei suoi documenti lo chiamava, non senza una certa ironia, il Principe. Questo personaggio conosceva alla perfezione la Balti e sapeva come farla innamorare. Per Ferrigno era un fatto puramente scientifico ed era talmente certo del suo metodo da non considerare gli imprevisti.

Il 14 marzo del 2018 il Ferrigno, che nel frattempo si era fatto assumere come libraio in una piccola libreria del centro di Milano, urtò casualmente la Balti. Da lì in poi iniziò a recitare il copione che aveva scritto, limato e studiato per anni. E il copione (il piano) funzionò alla perfezione.

Una settimana dopo lui e la Balti avevano un appuntamento per una cena. La Balti arrivò con un ritardo di 15 minuti scusandosi perché la sua lezione in palestra era durata più del necessario e poi aveva tardato a casa per farsi la doccia. Al che il Ferrigno rispose: ma oggi è giovedì, tu non vai in palestra il giovedì!

La Balti non rispose. Ci furono due o tre secondi di silenzio. Poi lei disse: come fai a saperlo scusa?

Durante il processo il Ferrigno spiegò che il suo errore fu non considerare che quella della Balti poteva semplicemente essere una scusa per il ritardo. Sono certo che non può essere andata in palestra il giovedì, disse. Per un momento quella mente perfetta ebbe un cedimento. Un cedimento fatale. Perché la Balti se ne andò via, poi ingaggiò un investigatore privato e in poche settimane venne fuori il piano del Ferrigno, il più grande stalker della storia.

Nel 2021 la Cassazione confermò la sentenza a 34 anni di detenzione per il Ferrigno, che nell’attesa, in carcere, aveva già preso 3 lauree. Nel 2022 il Partito per la Bellezza fece cadere il Renzi bis con un golpe, instaurò la Religione della Bellezza, rendendo illegale la bruttezza e trasformando Bianca Balti in Opera d’Arte Vivente Immortale di proprietà dello Stato.

Con le nuove leggi del Governo della Bellezza il reato del Ferrigno diventò più grave. Il suo fu un tentativo di truffare quella che era, di fatto, diventata la Divinità Nazionale. Ci fu quindi un secondo processo, dove all’ex giovane scienziato venne chiesto se avesse portato avanti il suo piano con lo scopo di penetrare la Balti. Il Ferrigno, senza battere ciglio, rispose che nel piano erano previsto anche questo. Anzi, lo definì l’Obiettivo Finale.

Fu condannato alla pena di morte.

 

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La Scopa Umana

Anche durante i miei primi show ci guadagnammo la reputazione di fare i vaudeville più violenti. Questo come risultato di una serie di interessanti esperimenti che mio padre fece su di me. Cominciò portandomi in scena in braccio per poi farmi cadere a terra. In seguito cominciò a spazzare in terra con me come scopa. Quando si accorgeva che non mi lamentavo cominciò a lanciarmi per il palcoscenico, dietro le quinte, e a farmi cadere sulla grancassa nel pozzetto dell’orchestra. […] Prima di diventare più alto di un soldo di cacio ero presentato nel nostro show, “I tre Keaton”, come La Scopa Umana. Una delle prime cose che notai fu che ogni volta che sorridevo o facevo capire al pubblico quanto mi divertivo, loro sembravano ridere meno.

(Buster Keaton ricorda i suoi esordi a 4 anni, dall’introvabile autobiografia “Memorie a rotta di collo”, che ho trovato)

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Le disavventure di Beppo-SAX

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Beppo-SAX era un satellite mandato nello spazio per studiare i lampi gamma, gli intensi lampi di raggi gamma che esplodono nell’universo in galassie molto lontane da noi. Quello più lontano osservato si chiama GRB 090423 ed è avvenuto a più di 13 miliardi di anni luce dalla Terra, in zona Osmannoro.

Dopo sei anni di vita Beppo-SAX viene fatta precipitare nell’oceano pacifico. Le “Le disavventure di Beppo-SAX”, coprono proprio i 6 anni che il satellite ha passato nello spazio. Per esigenze narrative, verrà rappresentato in forma umanoide, quindi con degli occhi e una bocca tra antenne e altri gingilli tecnologici. Avrà anche un’esclamazione ricorrente, qualcosa tipo “Sax-ziale!” o “Beppo-bacco!” che userà davanti a esplosioni di lampi gamma particolarmente potenti.

Beppo-SAX è un satellite bambino, un po’ capriccioso, estremamente curioso (a volte si ficca nei guai) ma anche un po’ timido, ad esempio si mette una mano davanti agli occhi (ha anche una mano – una sola) quando vede i buchi neri.

Beppo-Sax si chiama così in onore del pioniere dell’astrofisica italiana Giuseppe “Beppo” Occhialini, nato a Fossombrone. So che sembra una cosa tra Harry Potter e Topolino, eppure è tutto vero. Esiste un asteroide dedicato a lui, il 20081 Occhialini (in una puntata delle disavventure Beppo-SAX capita proprio là) ma anche una cima, Pico Occhialini, in Brasile, nel Parque Nacional de Itatiaia, perché Occhialini anche era un alpinista e speleologo, oltre che astrofisico: uno che proprio non si accontentava.

Le disavventure di Beppo-SAX sono pensate per un pubblico di lettori/spettatori di 5-11 anni, tossicodipendenti e anziani affetti da demenza senile. Prossimamente lo script delle prime puntate.

BeppoSAX