Le mie esperienze con l’arte contemporanea sono sempre traumatiche, ma non nel senso positivo del termine, di trauma che stimola, che provoca, che sorprende, che meraviglia (in tedesco traum vuol dire sogno). E’ più un trauma simile a quando becchi una pizza scarsa e la paghi molto: ed è in questo senso che sono traumatiche, perché a me l’arte piace, come la pizza, e piace anche l’arte contemporanea, in dosi basse e molto selezionate. E’ un po’ come per il cinema horror: ogni 100 film che escono, 98 fanno schifo, 2 sono bellissimi.
Perché sto scrivendo queste cose: per sfogarmi.
Location: piccola galleria d’arte, ovviamente non definita così perché è borghese, ma in modo più strano e originale. Collettivo “formatosi a Berlino”, cioè tutti residenti in Italia, però sono andati a Berlino, si sono formati, poi sono tornati a casa. Un po’ come quelli che vanno a sposarsi a Las Vegas.
Sento qualcuno dire “videoarte”, allora mi interesso, perché a me a volte la videoarte piace molto, anche se è sempre un fatto di numeri (si veda il discorso sul cinema horror). Quindi dico: proviamo.
Video in loop con due donne che si sputano a vicenda: sono madre e figlia. Sputano come le femmine, cioè poco e male, quindi è fin da subito deludente. Spero che la cosa degeneri, che si crei un momento inatteso, imprevedibile, un attimo inspiegabile, come dovrebbe fare l’arte. E invece niente: tra uno sputacchio e l’altro ridono, tipo video cretino di Youtube. Il video finisce e ricomincia.
Mi guardo intorno: gente vestita strana, altri vestiti normali che commentano “il bell’allestimento” (sintesi perfetta dell’arte contemporanea: siccome il quadro non c’è più, commentiamo la cornice).
Il video non lo capisco, o meglio lo capisco fin troppo, e capisco che non c’è nulla da capire. Non è bello da vedere, non stimola, non meraviglia, non provoca, sono solo due che si sputano a vicenda. Vicino c’è un mazzo di fogli A4. Temo che si tratti proprio di Quella Cosa.
Ma mi dico: smettila con i pregiudizi, magari non è così.
E invece sì.
E’ lei, è la SPIEGAZIONE.
Nel foglio A4 viene spiegato che il video INVITA A RIFLETTERE. Lo scopo dell’installazione artistica, dell’opera, chiamatela come volete, è far riflettere sulle dinamiche madre e figlia. Ora, posso testimoniare che il video non ottiene lo scopo voluto, non a caso necessita della didascalia, ovvero il famigerato foglio A4 con la spiegazione. Ci vuole più tempo a leggere quella che a vedere il video.
Sotto la Spiegazione c’è la bio dell’artista: soliti percorsi accademici, solito elenco di capitali europee, sempre le stesse.
Ma il problema non è il foglio A4. Quello è la conseguenza inevitabile del problema, che invece è all’origine: l’intenzione.
Far riflettere.
L’arte non deve far riflettere. L’arte FA riflettere, ma involontariamente, capita, succede, e ognuno fa le sue riflessioni. Invece questi artisti che nascono (già morti) in percorsi accademici sono ossessionati dall’intenzione di far riflettere. Come se Picasso dipingesse una capra dicendo: lo scopo è farvi riflettere sulle capre.
L’intenzione, la volontà, è nemica dell’arte. Va bene per gli studenti, per i critici, per i giornalisti, ma non per gli artisti. E non sono pippe: sono cose pratiche drammaticamente sperimentate sulla mia pelle di spettatore interessato. Quando vogliono farmi riflettere su qualcosa, il risultato è che non mi fanno riflettere, mi ammosciano e mi addormentano, e di sicuro non mi emozionano.
Come si fa oggi un’opera d’arte contemporanea?
Si fa così: si fa un percorso accademico (devi studiare da qualche parte per poi metterlo nel curriculum), ci si fa un sito fatto male dove non si capisce nulla, un logo e un nome un po’ radicali giusto per scandalizzare mamma e papà. Poi però si sceglie di far riflettere su qualcosa e, inspiegabilmente, nel 90% dei casi, si sceglie la PROPRIA FAMIGLIA.
E’ pieno di quadri, progetti, video, installazioni, performance, che parlano di famiglia. Progetto fotografico su mia nonna che fa la spesa. Video di mio padre che fuma la sigaretta alla finestra. Performance dove prendo a schiaffi mio padre (dopo che mi ha pagato 2 anni di erasmus, 5 anni di università, 3 anni di accademia a zurigo, viaggi a berlino, cazzeggio a new york, non contento LO PRENDO A SCHIAFFI), sputo in faccia a mia madre, mi faccio fotografare mentre bacio il cadavere di nonna, ecc. ecc. A quanto pare il mondo dei giovani artisti inizia e finisce sull’uscio di casa.
A quel punto il gioco è quasi fatto: basta inserirsi nel circuito giusto e ci siete.
Non sono necessarie ossessioni, ispirazioni, non è necessario aver vissuto, aver sofferto, voler rappresentare il proprio mondo, niente: basta che siate stati un paio di mesi a New York (ma va bene anche Berlino) e siate riusciti a convincere qualcuno a prendervi sul serio. Cosa che, incredibile, è molto più facile di quanto pensiate.
Poi ci mettete in mezzo o la vostra famiglia o una pseudocritica all’arte (infatti l’arte è critica dell’arte, mette in discussione se stessa), aggiungete un po’ di fluidi corporei per rendere la cosa trasgressiva, patologica, quindi saliva, sangue, sperma, cacca, pipì, e a quel punto siete quasi arrivati.
Dove?
A fare soldi no, quelli sono per pochi e al 90% non per voi. Ma siete arrivati dove volevate davvero arrivare, e cioè a sentirvi artisti.
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Una delle precedenti esperienze era stata questa (post del 2013 relativo a una giornata del 2011 o 2012):
12. Life during wartime
domenica, personale di un giovane artista al teatro civico. pompa magna, il comune ha speso e si vede. graziose signorine all’ingresso, il nome del giovane artista su un grosso pannello di legno, e tutto ciò che ne consegue. le sue cose non sono nemmeno male, opere d’arte realizzate con materiali di scarto + ammiccamenti insensati all’immaginario collettivo nerd (ma ciò che li rende interessanti è proprio l’insensatezza). siccome è lì ci scambio due parole, sento i prezzi, trasalisco, gli chiedo dettagli tecnici ma lui è sfuggente, come da copione. esco. fuori decine di bancarelle con persone qualunque che espongono le cosucce da loro realizzate: maschere, collanine, pupazzi, giocattoli e altre tenerezze personali che uscite dalle loro case rivendicano ora un improbabile riconoscimento. ovviamente, nessuno li caga. gli stessi che pochi metri prima ammiravano il giovane artista snobbano questi piccoli artigiani e passano oltre in cerca di un gelato. me compreso. la situazione mi sembra emblematica: si trovano a pochi metri di distanza, un po’ come i gatti sulla strada e i topi nelle fogne. perché lui? perché il giovane artista non ha una bancarella come tutti gli altri? perché lui dice millessette e nessuno ride mentre con quei disperati si tira il prezzo per arrivare a due o tre euro? penso che è un sistema crudele, ma anche che è così che funziona. qualcuno sì, qualcuno no. poi a casa scopro che anni fa il giovane artista ha preso parte a un noto spot pubblicitario e improvvisamente tutto torna ed è domenica sera e c’è report a confermare.
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Aggiungo: tutte le cose riconducibili all’arte che più mi hanno colpito negli ultimi anni, non venivano dal mondo dell’arte. Erano saggi scolastici di bambini delle elementari: un video fatto da bambini di 11 anni, e uno spettacolo teatrale fatto da bambini credo della stessa età. Era arte. Era spontanea, inattesa, bella e indovinate? Addirittura faceva riflettere.
Ora, se ci riescono dei bambini di 11 anni e non ci riuscite voi… vi invito a riflettere.