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Crampi

Beh, l’altra mattina mentre nuotavo in mare mi è venuto un crampo al polpaccio. Come già detto, la tentazione di dare un significato a simili eventi è sempre forte. E’ solo una contrazione involontaria dei muscoli, uno dei tanti banali malfunzionamenti del nostro corpo, come starnutire o ruttare, ma quando gli eventi esterni non sembrano avere alcun senso per riflesso si finisce per dare un senso agli eventi interni. Si chiama illuminazione, oppure rincoglionimento, dipende dalle traduzioni. E quindi, io che sono abituato a interpretare ogni singolo movimento intestinale come un messaggio dall’Universo, figuriamoci cosa sono riuscito a pensare di un crampo in mezzo al mare, un evento che nel mio universo simbolico è l’equivalente di un’esplosione vulcanica sottomarina. E’ come se un cane ti mordesse il polpaccio e ti tirasse giù, verso il fondo. Per fortuna non ero più nell’acqua alta, anche se ancora non toccavo ed ero lontano dalla riva. Una roccia non lontana sporgeva più delle altre, quindi sono riuscito a poggiare il piede per estendere il muscolo. Il crampo non è passato, però sono riuscito a tornare a riva nuotando solo con le braccia, ed è stato semplice anche perché c’era con me un’altra persona che mi ha aiutato. Ho avuto la sensazione di morire per un millesimo di secondo, ma è apparso subito l’istinto di sopravvivenza e il tutto è rientrato in una situazione standard e già vissuta, dato che non era il mio primo crampo in mezzo al mare. Ma è sempre bello vedere la spiaggia da lontano e per un attimo sentirsi come un burattino a cui stanno tagliando i fili, e ogni volta ricordarsi del racconto di Gao XingJian.

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1600 carcasse

È un lavoro lento. Prima vengono fatti i prelievi del sangue, poi si abbatte. Una scarica elettrica veloce. È un attimo, gli animali non soffrono. Mano a mano che si procede i maiali vengono issati uno per uno con una gru e deposti sul cassone aperto di un camioncino. L’ultima tappa è la buca profonda più di sei metri ai margini dell’azienda. Pochi istanti prima di ricoprirli con la terra gli viene estratto un organo che verrà poi analizzato in laboratorio. Si andrà avanti così per tutto il giorno sino al tramonto. Alla fine della giornata nella fossa ci sono più di 1600 carcasse.

(La Nuova Sardegna)

Mi ero sempre chiesto quanti maiali fosse possibile uccidere in un solo giorno. Beh, molti a quanto pare. Ieri invece sono state sgozzate 150 pecore, ma è un’altra storia.

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Per dire

Ieri sera ho rivisto quella piccola perla anni 80 di The Hunger (Miriam si sveglia a mezzanotte), esordio del 1983 di Tony Scott. Malatissimo, fotografia e soprattutto montaggio incredibile. In particolare all’inizio sembra perfino sbagliato, e invece si dimostra al limite dell’avanguardia. L’inizio resta grandioso: atmosfere che Lynch replicherà decenni dopo in Strade perdute e non solo, con Bela Lugosi is Dead dei Bauhaus, tipe che ballano senza motivo, montaggio misterioso con scimmie pazze, fotografia raffinata e fumosa, poi di colpo arriva il bagno di sangue. Un inizio fantastico. A seguire David Bowie che diventa vecchio in due o tre scene, ancora scimmie pazze, un rapporto lesbo tra Susan Sarandon e Catherine Deneuve, poi sangue, bambine uccise, sangue, roba egiziana, Bach, Schubert, Ravel ma anche Iggy Pop, fino alla virata totalmente horror del finale. Tutto il film ha un clima perverso, malato, il dark-glamour di quegli anni 80 che dietro il patinato mostravano sangue, organi marci, solitudine e malattia (sostanzialmente è un film di vampiri). Beh, poteva non piacere?

Sì, ovviamente.

Fu un fiasco a tutti i livelli, tanto che Tony Scott si ritirò dal mondo del cinema per TRE anni.

Tre anni dopo gli fanno fare Top Gun, e poi vabbè, ha continuato così. A me piacque anche L’ultimo boyscout (“piacque” fa sempre ridere, comunque più che piacque diciamo che è un film che ho visto una trentina di volte e che cito a memoria). Film tra l’altro dalla sceneggiatura ammirevole, scritto da Shane Black, lo stesso che all’età di 26 anni scrisse Arma letale mentre io alla stessa età perdevo tempo nei blog a lamentarmi di quanto fosse triste vivere.

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Pomeriggio di fine agosto

Ci siamo capiti.

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Scusate se ho ucciso Tony Scott

A quanto sembra ieri Tony ha letto questo post, si è riconosciuto, si è depresso e si è suicidato. Chiedo scusa a tutti, in particolare alla famiglia di Tony.

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Non mi viene il nome

Stasera stavo pensando a Richard Donner.

E’ uno di quei registi dalla carriera strana, ha fatto tanti film famosi eppure non è noto quanto altri. Non è un nome pop, è il classico “ho presente ma non mi viene il nome”.

Chi conosce la serie di Arma letale di solito non sa che è anche il regista del bellissimo The Omen. Ma ha fatto anche Superman, I Goonies e poi, trent’anni dopo, il meraviglioso 16 Blocks (meraviglioso soprattutto per l’apoteosi della recitazione decadente di Bruce Willis).

Sono quelli che hanno carriere troppo eterogenee per essere considerati star del loro campo.

Un po’ come Robert Stevenson, altro dalla filmografia stranissima. O ancora di più Joseph Losey, di cui ho rivisto da poco il meraviglioso Il Servo. E in un certo senso anche Blake Edwards. O, tra gli attori, il mio caro amico David Niven.

Ma ce ne sono tanti altri, di solito sono quelli che vengono definiti “grandi artigiani del cinema”, contrapposti agli “autori”.

Mi viene da pensare anche a Woody Harrelson, un attore da sempre in quella categoria “ho presente la faccia ma non mi ricordo il nome”, mentre tutti, anche gli scemi, sanno chi è Toni Servillo, per dirne uno.

E Kevin Smith, che con un paio di filmetti è considerato autore di culto e nome super-pop? (A proposito, il suo Red State mi è piaciuto, grazie anche a un altro grande attore poco noto, Michael Parks. La sua interpretazione del predicatore pazzo è magistrale, mi ha ricordato Peter Mullan, che avrei visto bene in quella parte come in qualunque altra parte.)

Il fatto è che è proprio così: se vinci un oro tutti si ricordano di te, se vinci 10 argenti no. Figuriamoci poi se vinci qualche bronzo.

Ce ne sono tanti così, dalle filmografie misteriose.

Bisognerebbe fare una bella lista, tipo “Grandi artisti di cui però non ricordiamo il nome”.

In genere sono quelli che hanno fatto cose troppo diverse, mischiando cose belle, cose pop per fare soldi, roba sperimentale e merda non riuscita, e quindi non hanno conquistato una sola fetta di pubblico.

Per dire, Bela Tarr e Les Rallizes Denudes i loro sostenitori li hanno (io sono fra questi, ad esempio). Ma Richard Donner? Ci sarà un fan di Richard Donner?

Sono quegli artisti che non hanno una loro identità come “autori”: ci sono solo le loro opere disordinate, che apparentemente non seguono nessun filo logico, nessun senso. Hanno solo fatto il loro lavoro, per tanti anni. E forse sono loro i veri maestri. I grandi autori minori.

Ho un affetto particolare per questo tipo di gente.

Mi fanno pensare a quella definizione di non so chi dei Residents: il più grande gruppo sconosciuto della storia.

Togliete “sconosciuto” ed erano i Beatles.

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Coach

No dai, veramente? Sono indeciso tra “lo voglio fare”, “ne voglio uno” e “sganciate la bomba”.

Come sempre.

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Estate in città, un post scritto un mese fa quando faceva molto molto caldo ed ero leggermente incazzato per qualche motivo

La diversa consistenza dell’asfalto sotto la suola delle scarpe, l’aria malsana, le macchie nere sul marciapiede e l’odioso ciabbattare, che sostanzialmente può essere di due tipi: quello netto e ritmico della suola che batte contro la pianta del piede e il tallone, tipico delle milf con passeggino, oppure l’altro tipo, decisamente peggiore, quello strascicato, il lento e insostenibile ciabbattare di cui parlava anche Washington Irving nei Racconti dell’Alhambra. Quando poi sono andato a Granada ho constatato che quel modo di camminare era ancora in voga e che la descrizione delle popolane fatta da Irving nell’Ottocento era ancora valida per le spagnole e le numerosissime erasmus, a testimonianza del fatto che il degrado dei popoli caldi ha un decorso lungo e inesorabile. A questo non voglio però contrapporre le civiltà nordiche, alle quali mi sento distante in egual misura, e tantomeno quelle orientali: forse al massimo quelle africane, e penso ai tuareg, che ciabbattano pure loro ma almeno sulla sabbia e non sul suolo urbano. Verrebbe naturale pensare alla fantomatica naturale eleganza delle donne africane, ma si tratta di illusioni che vivono nelle nostre menti più che nella realtà: le vedo spesso alla stazione e sono quasi sempre volgari, niente che mi faccia venire in mente l’eleganza. La donna africana più elegante che ho visto non era una donna africana, ma un ragazzo bianco inspiegabilmente vestito come una donna africana. Elegante nell’incedere, indossava un vestito largo e colorato, in testa aveva una cofana di capelli crespi a metà tra Sai Baba e Moira Orfei. Camminava lento, con lo strano sorrisino di chi ignora gli sguardi altrui ed è abituato da tempo a fingere sicurezza tanto da essere ormai diventato realmente sicuro di se stesso. Guardando la sua ombra si poteva immaginare di vedere una di quelle donnone africane con un vaso in testa e quattro o cinque mocciosi intorno, e invece era un maschio bianco che avrà avuto al massimo venticinque anni. Ma queste sono solo apparizione fugaci, per il resto in città si vive di atroci visioni, cosce sudate, ragazzine che fumano sigarette come se succhiassero cazzi, balordi che salutano gli amici con un gesto della mano dal finestrino della Golf, ciccione con i collant che inseguono cagnetti odiosi che si chiamano Tequila, e poi Lei: sciatta all’inverosimile, minigonna, perizoma in evidenza, tacchi alti, tatuaggio di un drago che parte dal collo e arriva quasi al culo, un pezzo di esistenza primaria che circonda un utero riproduttore così centrale che tutto il resto è buccia superflua, diceva Donoso. Spinge un passeggino che trasporta un bambino e se ne trascina dietro un altro un po’ più grande, già disadattato, che sgrida e insulta in continuazione, mentre quello ormai nemmeno piange più. E questa è l’estate in città.

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Possibile

Francis Ford Coppola

Val Kilmer

Bruce Dern

Edgar Allan Poe

Dan Deacon

Possibile mettere tutti questi nomi insieme?

Possibile.

E non è niente male.

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Amen

Di fronte all’ennesima segnalazione dell’ennesima pagina fb troppa matta troppo fuori troppo divertente troppo prendono in giro qualcuno, possiamo dire ufficialmente che:

La qualità è morta.

E l’ha uccisa la quantità.

E la vera notizia è che il mandante non è Facebook: siete voi.

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Horror 2012, la situazione

Beh in pratica gli appassionati horror ogni anno dicono la stessa cosa: anno così così, se non fosse per… e si vanno a recuperare piccoli film che però contengono idee interessanti. Il filmone horror che mette tutti d’accordo non esiste più, o meglio, l’ultimo forse è stato Martyrs e siamo ancora tutti qui ad aspettarne un altro. Situazione 2012: The Innkeepers, sicuramente insolito e interessante ma boh, Quella casa nel bosco fuori classifica in quanto arguto – per quanto vuoto – meta-omaggio a tutto il genere, Non avere paura del buio classico e caruccio ma boh, Mientras duermes è thriller ed è del 2011 ma è talmente bello che ce lo metto lo stesso, poi Dark Shadows di Burton simpatico, che non è proprio un complimento, Livide per carità di Satana è assolutamente mediocre e comunque forse anche questo è del 2011 (e dire che sono gli stessi dell’ottimo A l’intérieur), Chernobyls Diaries bell’idea e bell’ambientazione ma per il resto lasciamo stare, The Pact discontinuo, qualche bell’idea e diciamo un buon sei, The divide bello pesante ma è del 2011 pure questo, ho visto anche il Tall Man di Pascal Laugier, che dopo Martyrs tutti aspettavano al varco, e boh, esagera di scrittura e viene fuori un gigantesco MAH. In definitiva? Anno così così, come sempre. Ne ho ancora qualcuno da recuperare ma dubito che troverò belle sorprese. Aspettiamo Prometeus di Scott e soprattutto The Lords of Salem di Rob Zombie, che si spera ritorni ai livelli della Casa dei 1000 corpi e soprattutto della Casa del diavolo. Ah, a me è piaciuto Insidious, ma è del 2011. Idem Kill List, che ha uno dei finali più interessanti degli ultimi tempi. In pratica le mie speranze sono: Rob Zombie, Prometeus, Gaspar Noè che fa un horror, il nuovo film del grande Fabrice Du Welz (Calvaire e il capolavoro Vinyan), che però purtroppo ha mollato il progetto torture-porn per dedicarsi a un thriller (qui info) anche se va bene comunque. Come dite? Mancano gli orientali? L’altra notte ho beccato per caso questo The Shock Labyrinth: Extreme e dopo 10 minuti ho cambiato canale e ho guardato un film di Er Monnezza.

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I migliori 50 film di sempre, dicono gli inglesi

Come sapete sono uno di quei fessi che perdono tempo con le classifiche, soprattutto se trattano di cinema. C’è un aggiornamento nella classifica dei 50 più grandi film di tutti i tempi della British Film Institute, Sight & Sound. Al primo posto ora c’è Vertigo, e non posso che essere d’accordo dato che è anche il mio film preferito di tutti i tempi. Mi sorprende un po’ Aurora così in alto, ma dopotutto perché no? Anche se io avrei preferito Nosferatu o forse perfino Tabu, principalmente per il finale in mare. E Lo specchio di Tarkovskij prima di Stalker? Mah. Grida vendetta anche In the mood for love prima del Rashomon di Kurosawa, mentre Satantango di Tarr è sistemato un po’ troppo lontano dalla vetta. Però faccio notare al ventesimo posto – prima di Antonioni, Coppola, De Sica, Lang e Wilder – la presenza di SINGIN’ IN THE RAIN DI GENE KELLY. Detto ciò, ecco la classifica – basata sugli stessi titoli – con l’ordine rivisto dal sottoscritto.

1) Vertigo
2) Rashomon
3) Apocalypse Now
4) Quarto potere
5) 2001
6) Singin in the rain
7) Stalker
8) Satantango
9) La corazzata Potemkin
10) Otto e mezzo

Dai Amlo, vieni a rompere il cazzo.

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Un tempo ci si poteva divertire così

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Sono in vacanza

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Nota

La santabarbara è sempre a poppa.