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Estate in città, un post scritto un mese fa quando faceva molto molto caldo ed ero leggermente incazzato per qualche motivo

La diversa consistenza dell’asfalto sotto la suola delle scarpe, l’aria malsana, le macchie nere sul marciapiede e l’odioso ciabbattare, che sostanzialmente può essere di due tipi: quello netto e ritmico della suola che batte contro la pianta del piede e il tallone, tipico delle milf con passeggino, oppure l’altro tipo, decisamente peggiore, quello strascicato, il lento e insostenibile ciabbattare di cui parlava anche Washington Irving nei Racconti dell’Alhambra. Quando poi sono andato a Granada ho constatato che quel modo di camminare era ancora in voga e che la descrizione delle popolane fatta da Irving nell’Ottocento era ancora valida per le spagnole e le numerosissime erasmus, a testimonianza del fatto che il degrado dei popoli caldi ha un decorso lungo e inesorabile. A questo non voglio però contrapporre le civiltà nordiche, alle quali mi sento distante in egual misura, e tantomeno quelle orientali: forse al massimo quelle africane, e penso ai tuareg, che ciabbattano pure loro ma almeno sulla sabbia e non sul suolo urbano. Verrebbe naturale pensare alla fantomatica naturale eleganza delle donne africane, ma si tratta di illusioni che vivono nelle nostre menti più che nella realtà: le vedo spesso alla stazione e sono quasi sempre volgari, niente che mi faccia venire in mente l’eleganza. La donna africana più elegante che ho visto non era una donna africana, ma un ragazzo bianco inspiegabilmente vestito come una donna africana. Elegante nell’incedere, indossava un vestito largo e colorato, in testa aveva una cofana di capelli crespi a metà tra Sai Baba e Moira Orfei. Camminava lento, con lo strano sorrisino di chi ignora gli sguardi altrui ed è abituato da tempo a fingere sicurezza tanto da essere ormai diventato realmente sicuro di se stesso. Guardando la sua ombra si poteva immaginare di vedere una di quelle donnone africane con un vaso in testa e quattro o cinque mocciosi intorno, e invece era un maschio bianco che avrà avuto al massimo venticinque anni. Ma queste sono solo apparizione fugaci, per il resto in città si vive di atroci visioni, cosce sudate, ragazzine che fumano sigarette come se succhiassero cazzi, balordi che salutano gli amici con un gesto della mano dal finestrino della Golf, ciccione con i collant che inseguono cagnetti odiosi che si chiamano Tequila, e poi Lei: sciatta all’inverosimile, minigonna, perizoma in evidenza, tacchi alti, tatuaggio di un drago che parte dal collo e arriva quasi al culo, un pezzo di esistenza primaria che circonda un utero riproduttore così centrale che tutto il resto è buccia superflua, diceva Donoso. Spinge un passeggino che trasporta un bambino e se ne trascina dietro un altro un po’ più grande, già disadattato, che sgrida e insulta in continuazione, mentre quello ormai nemmeno piange più. E questa è l’estate in città.

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