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de Selby

Secondo Hatchjaw (la cosa, peraltro, non è confermata da Bassett), durante i dieci anni in cui redasse l’Album di campagna, de Selby fu ossessionato dagli specchi, e vi faceva ricorso con tanta frequenza che asseriva di avere due mani sinistre e di vivere in un mondo arbitrariamente delimitato da una cornice di legno. Con l’andar del tempo, egli cominciò a rifiutarsi di guardare qualsiasi cosa direttamente e teneva in permanenza davanti agli occhi uno specchietto, orientabile grazie a un meccanismo di fili metallici di sua fabbricazione.

Quale che sia la fondatezza delle teorie di de Selby, è ampiamente provato non solo che egli ne era sinceramente convinto, ma che fece diversi tentativi per metterle in pratica. Durante il suo soggiorno in Inghilterra, gli capitò di vivere per un certo periodo a Bath, e si trovò nella necessità di recarsi a Folkestone per affari urgenti. Il metodo che seguì fu tutt’altro che convenzionale. Invece di andare alla stazione, si chiuse in una stanza del suo appartamento con una provvista di cartoline illustrate della zona che avrebbe dovuto attraversare lungo il viaggio e di un complesso armamentario di orologi, strumenti barometrici e un congegno per regolare la luce a gas, a seconda dei cambiamenti di luce all’esterno. Che cosa accadde in quella stanza, e con quanta precisione furono manipolati gli orologi e gli altri arnesi, non si è mai. saputo. A quanto pare, dopo sette ore, egli ne emerse convinto di essere a Folkestone. Non si ha notizia del grado della sua delusione quando si ritrovò nel suo solito quartiere di Bath, ma secondo una testimonianza autorevole, sostenne, senza batter ciglio, di essere stato a Folkestone e di esserne già di ritorno. Si parla di un tale (il cui nome è rimasto sconosciuto) che dichiarò di aver effettivamente visto il pensatore uscire da una banca di Folkestone proprio quel giorno.

De Selby ha definito l’esistenza umana come “una successione di esperienze statiche, ciascuna infinitamente breve”, idea che pare egli abbia concepito dopo aver esaminato alcune vecchie pellicole cinematografiche appartenenti, probabilmente, a suo nipote. Sono evidentemente le stesse pellicole di cui parla in Ore dorate (p. 155) criticandole per il “forte elemento ripetitivo” e per la loro “tediosità”. A quanto pare le aveva esaminate pazientemente fotogramma per fotogramma e aveva immaginato che fossero da proiettare nello stesso modo, non avendo afferrato, a quell’epoca, il principio della cinematografia.

il grande de Selby

2 risposte su “de Selby”

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