in questo periodo dell’anno cominciano a diffondersi un certo tipo di fotografie che, prima non capivo il perché, mi hanno sempre trasmesso una sensazione di angoscia. c’era qualcosa di indefinibile che mi dava fastidio, e non era il semplice corpo umano. forse anche quello, anzi quasi sicuramente anche quello, ma sentivo che c’era qualcos’altro, qualcosa di molto più grande e spaventoso che non capivo. alla fine ci sono arrivato. lentamente, ma ci sono arrivato.
queste foto sono la soggettiva del morto. era lì, così evidente, eppure non l’avevo capito. è esattamente il punto di vista di un cadavere morto sulla spiaggia. in effetti non c’è nessuna differenza tra un corpo disteso sotto il sole ad abbronzare e un cadavere ormai prossimo alla decomposizione se non, in alcuni casi, la puzza, che si può comunque facilmente ignorare grazie a brezze marine, odori di creme solari e altro.
vedere il mondo come lo vedono i morti è una delle grandi possibilità che ci dà questo secolo. l’autoscatto del morto diventa così l’ultima moda. non più, come già mostrato ampiamente sui giornali -per definizione indietro al giorno prima – l’autoscatto “un momento prima di morire”, ma l’autoscatto il momento dopo, i giorni successivi, fino addirittura alle ferie, al mare, alla partitella a racchettoni, al quale il morto ovviamente non può prendere parte, ma può osservare.
e se la pallina dovesse finire nei pressi del morto, non preoccupatevi, lui non si lamenterà, recuperatela senza disturbare e riprendete tranquillamente la vostra partita. il morto – o più spesso, la morta – sa che prima o poi la partita finirà.