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Alle presentazioni di libri

 

premetto che considero le presentazioni dei libri uno dei momenti peggiori di vita comunitaria, dove regnano carisma, dunque ego, dunque forza, dunque violenza.

un mettersi in scena non solo dell’autore (o, più raramente, dell’autrice) e del moderatore (o, meno raramente, della moderatrice), ma anche e soprattutto del pubblico, degli organizzatori, di tutti i presenti, dove di grazia nemmeno l’ombra (carisma sarebbe grazia, in teoria) e invece solo ego e forza bruta. insomma sono momenti dove l’essere umano viene fuori per la creatura mostruosa e marcia che è.

cioè, per la creatura mostruosa e marcia che sono io.

infatti, come vedremo fra poco, alla fine le presentazioni dei libri non sono neanche così male, sono io che sono pazzo. questo riassume un po’ tutte le situazioni sociali che di solito critico: non sono tanto loro – sono io.

ad esempio oggi, a questa presentazione, avevo deciso di fare una domanda, così, a prescindere, non sapevo nemmeno su cosa. ma avevo deciso di fare una domanda quando lo scrittore famoso avrebbe chiesto “qualcuno vuole fare domande?”

(anzi di solito dicono “se ci sono domande…” – ma come finisce questa frase?)

perché? ma perché sì, per buttarsi, per fare cose che normalmente “io” non farei, per togliersi dalla testa l’idea di essere io, ché poi davvero col tempo ci si convince, “questo non è da me”, “io non faccio queste cose” e via di giudizi e pregiudizi e insomma si invecchia e ci si rincoglionisce. quindi fare cose che normalmente non farei: andare a una presentazione di un libro e fare una domanda.

la prossima volta: paracadutismo.

(come vedremo fra poco, sarebbe stato meglio il paracadutismo, probabilmente senza paracadute)

piccola libreria, ambiente confortevole eccetera eccetera. arrivato al momento giusto mi preparo: inizio a pensare qualcosa da dire e ad assumere una postura che considero adatta, mi schiarisco la voce, ma mi precede un ragazzo che alza il dito un attimo prima di me.

questo ragazzo è:

  • fisicato
  • abbronzato
  • capelli e barba da dio greco
  • dizione da “fate doppiare un film a quest’uomo”
  • postura perfetta
  • attitudine colta ma non intellettualoide, anzi autentico e alla mano. da sposare.
  • fa una domanda complessa ma esposta perfettamente, brillante, intelligente, ironico il giusto ma anche profondo

lo scrittore risponde molto soddisfatto della domanda, dice che è contento di avere lettori così (cioè come questo ragazzo, non come me). io passo immediatamente in modalità unabomber, incel-super-sayan, mi iscrivo ai terroristi brucio le macchine spacco le vetrine ecco vedi avevo ragione è solo lo spettacolo della società dell’ego del carisma della bellezza della violenza della simpatia sono tutte dinamiche di potere dovrei dare fuoco a questa libreria pulirla con benzina e accendino lasciare che bruci tutto e sperare che in futuro qua crescano alberi e funghi e reti micorriziche.

mentre penso questo sorrido e annuisco da solo. una ragazza intercetta il mio sguardo: forse c’è stata una battuta detta dallo scrittore e sembra che io stia ridendo per questo motivo, forse la ragazza non c’è davvero e me la sto immaginando, forse la ragazza sono io e di fronte a me c’è uno specchio, non lo so. 

comunque, non mi do per vinto.

il ragazzo sardo bello e intellettuale era il boss finale, inaspettatamente messo all’inizio di questo primo livello, ma ho ancora le mie bombe da lanciare / carte da giocare / dischi rap italiani anni 90 da citare. di nuovo mi preparo, ce l’ho: faccio una domanda intelligente, di quelle però molto aperte, che lascino spazio all’ego dello scrittore (mai mettersi un vestito più bello di quello della sposa), che nella risposta possa esordire con “ti ringrazio per la bella domanda”, che tutto il pubblico pensi “che dio benedica questo ragazzo”. lo scrittore è un dio da soddisfare, la domanda è un olocausto (nel senso di sacrificio, almeno per ora), dobbiamo sfamare la divinità. e io ci sono, sono pronto a farlo. prima c’è però l’intervento di una signora anziana, un nemico del tutto trascurabile, lasciamo parlare la vecchia e poi arrivo io con la mia domandona. giusto un paio di minuti di attesa. dai, parla piccola cariatide, potrebbe essere l’ultima volta nella tua vita, te lo concedo.

e la vecchia parla.

e si scopre che conosce l’opera omnia dello scrittore, voce bellissima da radio, sintassi da accademia della crusca, esposizione da video del TED, ha pure una bella pelle, di quelle che si dice guarda come porta bene le sue rughe, guarda che bella signora, guarda che stile nell’avviarsi al periodo che porta alla malattia e alla morte. la domanda è preparatissima, sensatissima, profondissima, levissima. lo scrittore è ancora una volta soddisfatto di avere lettori e lettrici di questo calibro.

dunque il vero boss finale era questa povera vecchina? questa stronza ottantenne? è come negli anime quando c’è un nemico che si presenta come innocuo e invece si scopre che è potentissimo e fa il culo a tutti gli altri che sembravano forti, e tutti i protagonisti ogni volta si sorprendono. comunque ovviamente non posso fare la domanda ora, dopo la sua, e soprattutto dopo due domande di fila così belle, così perfette, così brillanti.

per fortuna, mentre io deliro, interviene una ragazza vestita male: ottimo, posso prendere tempo. la ragazza inizia balbettando, sorride, si tocca i capelli nervosamente, inizia così così ma poi si riprende, lentamente inizia a ingranare, alla fine fa un discorso breve ma sensato e alla fine cita A MEMORIA un brano di un libro poco conosciuto dello scrittore. che risponde: “guarda, mi fa molto piacere che tu abbia citato proprio quel libro, è il mio preferito e non capita mai che qualcuno non dico che lo citi, ma proprio che lo conosca, che lo abbia letto. quindi grazie di cuore, veramente”. in sala c’è chi si commuove.

non io.

nervosamente tocco l’accendino che ho nella tasca dei pantaloni. dovrei bruciare la libreria con le persone dentro, sbarrare le porte, poi fuori incendiare le macchine, le panchine, i cassonetti, le scuole, bruciare tutto il paese, sperando che il vento soffi forte e porti il fuoco oltre il comune, la provincia – che bruci l’isola intera, che si possa vedere dallo spazio l’ossidazione esotermica irreversibile che irradi l’universo intero E PORCODD

insomma: mi calmo.

decido che farò comunque la mia domanda, cercando di sembrare il più possibile normale. sono pronto a lanciarmi, ce l’ho pronta, ripasso l’esordio, la sintassi (il rischio è sempre di impappinarsi subito, poi sale l’ansia e non si capisce niente), rallento il respiro, vado in profondità pronto a risalire brillante splendente irresistibile e

un ragazzo molto simile a me prende la parola e fa non dico la mia stessa domanda, ma una domanda molto molto simile. la mia non ha più senso. e lui è quasi come me: in più ha solo gli occhiali, ma per il resto mi assomiglia molto, vestiti simili, camicia quasi uguale, probabilmente ascoltiamo anche la stessa musica, forse è solo un po’ più giovane, ma di poco. è il mio doppio. 

sono confuso: forse dovrei essere contento perché il mio simbionte ha fatto la mia domanda (più o meno) che lo scrittore e il pubblico hanno gradito, sollevandomi così dalla fatica e dalla responsabilità dell’agire. allo stesso tempo sono deluso e frustrato: sono stato battuto sul tempo da un me stesso, da un altro me. io l’avrei fatta meglio? e chi sarà questo tizio?

per un attimo penso di seguirlo fino a casa, vedere dove vive, cosa fa, se davvero ascolta la mia stessa musica, ma al contempo la fantasia del fuoco che brucia tutto non va via, alterno la sua faccia, quella dello scrittore, la ragazza che sorrideva e fiamme alte cento metri che divampano divampano divampano e alla fine torno a casa e mangio una pizza con la rucola. 

la prossima volta, paracadutismo.

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