ora, che ci sia gente che si caghi nelle mutande vedendo un simbolo grafico poco conosciuto, tipo ə, per capirci, a me fa solo gioire. li ringrazio, perché sono così teneri e buffi. da giovine ero un povero pazzoide che amava disegnare, fare incidenti col motorino (ma anche skate, bici, andava bene tutto per farsi male), prendere treni e traghetti, ascoltare metal e rap, scrivere sui muri e programmare. la cosa più importante per me nella vita era la fantascienza e sognavo costantemente o di essere rapito dagli alieni o di doverci comunicare. veramente: ragazze, soldi, gelati, non c’era nulla di importante, a parte l’idea di venire a contatto con gli alieni. le prime due cose che ho scaricato e stampato quando ho avuto a che fare con internet sono stati un documento sull’area 51 e una pagina sui writer storici americani. studiando informatica mi ero appassionato ai linguaggi. in casa, mio padre passava ore ad ascoltare e imparare i versi degli uccelli: DEGLI UCCELLI, non stava facendo un corso di inglese santo dio, quest’uomo stava letteralmente cercando di imparare L’UCCELLESE! mia madre aveva imparato il braille, nonostante non fosse cieca, ma perché aveva diversi alunni ciechi (con i quali io giocavo, così come giocavo con bambini autistici: attenzione, con certi è molto difficile! ma ne parlo un’altra volta). ero fissato anche con la crittografia. a scuola ci mandavano messaggi cifrati, scrivevamo algoritmi, sapevamo il PHP e il C++ come l’italiano (cioè così così, benino), e come con l’italiano smontavamo, remixavamo, hackeravamo qualsiasi pacchetto di informazioni. inventavamo parole, le anagrammavamo, le crittografavamo, le spalmavamo sul pane con burro e marmellata, per poi digerirle o vomitarle e ricominciare da capo. conoscevo un nerd mitologico che stava imparando il klingon, ma era considerato normale. c’erano metallari che studiavano le rune, altri il codice internazionale nautico per mandare messaggi attraverso le bandiere, ché non si sa mai. una skill completamente inutile ma di tutto rispetto era capire il codice morse. io se vedevo un colore, ad esempio il bianco, immediatamente pensavo: #ffffff (o 255, 255, 255, se preferite). ascoltavo molto rap italiano, americano e francese, dove si usavano dialetti, slang incomprensibili e parole inventate giusto per fare rima. in tutto questo, io ero capace di scrivere e leggere IN BINARIO, sequenze lunghissime di zero e uno, come le macchine. perché? perché era divertente, perché era un linguaggio, perché mi dava l’idea di poter parlare direttamente con le macchine senza interfacce e intermediari. eravamo un po’ alchimisti e un po’ scemi: sperimentare continuamente, su tutto. avevo già inventato una lingua da bambino e poi, come spesso capita tra fratelli e sorelle, inventai molte parole ed espressioni con mia sorella. alcune di queste poi le abbiamo insegnate ad amici e le usiamo ancora oggi. mia nonna, che aveva la terza elementare, era campionessa galattica di enigmistica, in particolare di rebus, e mi passava le settimane enigmistiche con i giochi più facili che lei saltava: per me, un mondo di misteriosa meraviglia. mi piacevano i sunn O))), e il loro primo album si chiamava ØØ Void, non c’era nemmeno bisogno di ascoltarlo, era già bello per il titolo. i gruppi black metal che ascoltavo avevano vocali meravigliose come æ ø ö å nel nome, e a me piaceva usarle anche nella scrittura quotidiana; mentre i sigur ros avevano lettere come ð á ý, e poi cantavano in una lingua inventata e un loro album si chiamava ( ) che noi tutti chiamavamo “parentesi”. nel 1999, assieme a molti altri nerd, avevo scoperto che aphex twin aveva nascosto la sua faccia nello spettogramma audio al minuto 5.27 della seconda traccia del singolo di windowlicker, pezzo dal titolo non pensato per essere pronunciato, infatti era un complessa formula matematica: ΔMi−1 = −aΣn=1NDi[n] [Σj∈ℂ{i}Fij[n − 1] + [Fexti[[n−1]]. sapevamo già nascondere dati nelle immagini jpg perché lo facevamo a scuola, e in più l’avevo imparato grazie a leggendarie mailing list per aspiranti hacker che arrivavano rigorosamente in formato txt con bellissime decorazioni in ASCII (dove, come tra writer e rapper, andava di moda scrivere alternando minuscole e maiuscole e usare numeri e altri segni, una cosa tipo: and4va di mOdA 5criVeRe aLtERnAnDo miNu$c0le & mAiUsCoLe E uTiLiZz4re nUm€ri E aLtri seGn1). l’arrivo di questi bollettini per hacker un evento, era tutto molto eccitante – anche se poi alla fine si riduceva a cose tipo come collegare la stampante a linux ubuntu, i comandi ms-dos che comunque conoscevo già da bambino, e algoritmi per hackerini niubbi che però ti facevano sentire kevin mitnick per mezz’ora. tutto bello, per carità. ma questa cosa di aphex twin mi fece decisamente deflagrare il cervelletto. era oltre, e poteva essere utile per comunicare con gli alieni! inutile dirlo, ero appassionato di anime e, marginalmente, di manga. dunque gli ideogrammi erano la cosa più bella del mondo. seguivo siti di ufologia e newsgroup di fissati di programmazione ed enigmistica, dove purtroppo non capivo tutto, ma quel poco mi bastava. amavo imparare le espressioni delle altre lingue regionali, che facevo mie: quelle degli amici emiliani, veneti, lømbrdi, e soprattutto campani e napoletani, ma anche degli amici romani, tedeschi e francesi dei miei che a volte dormivano da noi. e poi ovviamente c’era il sardo: tutto era sardizzato o italianizzato, una parola sarda si poteva dire in italiano e perfino in inglese, se c’era un’assonanza, e viceversa l’italiano veniva sistematicamente sardizzato e colorato di giallo fluo #ccff02 [o, se preferite, (204, 255, 2)] in un remix continuo, vulcanico e divertente, che spesso, a parte essere utile, regalava momenti di pura idiozia per i suoi risultati inaspettati: idioletto, come lo chiama un amico poeta, dalla crasi tra idiozia e dialetto. non c’erano limiti. se scoprivo una parola in napoletano, in francese o in greco antico, mi chiedevo come trasformarla usando segni grafici non convenzionali, per poi magari crittografarla e trasformarla in suoni: probabilmente sarebbe venuto fuori il canto di qualche uccello che mio padre stava studiando. sempre grazie a lui, e alla lettura di alcuni etologi ed etologhe, sapevo che le api comunicavano danzando, le scimmie usavano gesti, cani e gatti odori, altri esseri sostanze chimiche, e si poteva comunicare perfino con colori e luci, come le meravigliose creature bioluminescenti che vedevo nei documentari. non potevo limitarmi a “come stai?” “bene”, questo era oVVio. le lettere non bastavano, gli alfabeti non bastavano. infinite et meravigliose diversità si aprivano di fronte a me, eppure non era mai abbastanza. quando con gli amichetti andavamo in giro a fare gli scemi e scrivere tag sui muri, mi accorgevo di quanti modi ci fossero di disegnare una E, fino a non farla sembrare più una E. amavo la K e la R, come tutti, perché erano bellissime da disegnare. preferivo le tag incomprensibili, quelle dove le lettere sparivano, diventavano un unico segno misterioso, e c’era qualcosa di sinestetico, perché vedevo una tag sul muro e ne sentivo il suono: KRRRR, anche se non c’era scritto così. i numeri erano lettere, le lettere erano numeri, tutto era segno, suono, sogno, suoegno: smontabile e rimontabile, campionabile e remixabile, e nel frattempo sempre tanta fantascienza, mio padre con le sue cassettine di uccelli pipipipipipipipi, mia nonna con il suo sardo antichissimo, ormai dimenticato, con espressioni suggestive che risalivano a mille o duemila anni prima, e il codice binario, l’inglese dei rapper west coast & east coast, gli incomprensibili francesi (che pure studiavo a scuola, ma non era abbastanza per capire il rap), simboli matematici, quel paradiso che era ed è la mappa caratteri ß £ ¥, l’italiano di tutte le regioni, dante, il klingon, il python, il braille, gli infiniti remix, l’infinito hackerare, finché non sono cresciuto e a tutto questo si è aggiunta l’antropologia (e le droghe, con le sue imprevedibili nuove connessioni), scoprire che c’era
gente, su questo pianeta pieno di facce e linguaggi, che comunicava a distanza FISCHIANDO! era fantastico, si potevano fischiare le cose, campionarle, creare algoritmi fischiati, nuove lettere, nuovi segni, nuovi pensieri… sempre pronto ad accogliere gli alieni.
poi…
poi passano 20 anni: vedo la gente mort… vedo la gente che ha i malori di fronte a un simbolo grafico che non ha sulla tastiera e che sostiene di non riuscir* a legger* una frase se c’è un asterisc0.
e provo una grande tenerezza. veramente: 01110101 01101110 01100001 00100000 01101001 01101110 01100110 01101001 01101110 01101001 01110100 01100001 00100000 01110100 01100101 01101110 01100101 01110010 01100101 01111010 01111010 01100001.
(se ti stai chiedendo appendice di cosa: in realtà questo testo faceva parte di un testo più lungo sulla questione del politicamente corretto, dove a un certo punto aprivo una parentesi autobiografica sul linguaggio, e alla fine ho tenuto solo quella)
10 risposte su “appendice sulla questioni linguistiche: del perché non capisco tanto triggerarsi”
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