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Buddha in cielo, teschi che ballano, musica per gatti e scarpe che mi fottono nella continua dissoluzione dell’io

senza titolo eh? due anni fa mi ero messo a disegnare tutti i sogni che facevo, per fortuna pochi, perché era faticoso. e poi non li segnavo tutti-tutti, perché non sempre ne avevo voglia, in realtà ero particolarmente interessato agli oggetti che la mia mente generava, oggetti onirici, inesistenti e spesso insensati. disegnare i sogni era divertente ma anche faticoso, e poi ci sono tante cose da fare e siamo schiavi del capitale, insomma ci siamo capiti, quindi ho smesso.

quest’anno mi piace l’idea di segnarmi i trip, ma non c’è tempo, sono lunghi e molto difficili da spiegare, e poi ci sarà sempre qualcosa di più importante da fare, no? qualcosa di prioritario, una task più importante, più urgente, ovvero legata ai soldi o alle altre persone o ai soldi E alle altre persone. così si vive durante rimandando le cose che si ha voglia di fare in questo momento, poi si muore. avanzano piccoli ritagli di tempo in cui ci si sforza di non sentirsi in colpa perché si sta facendo una cosa – aperte virgolette – inutile – chiuse virgolette  – e si scrivono preamboli come questi che arrivati a questo punto di solito si cancellano. detto ciò.

trip n.1294

solite modalità che non sto a spiegare, all’inizio tento di fare una breve meditazione di 10 minuti. cioè, la faccio. ma è difficilissimo perché la magia sta già salendo. sono comunque presente mentalmente, ma la mia mente si diverte a ostacolarmi e boicottarmi più del solito. io accetto, osservo, prendo atto e sono costantemente sul punto di scoppiare a ridere. mentre respiro a occhi chiusi piante rampicanti mi appaiono e avanzano verso di me: le foglie hanno la faccia di nicolas cage, l’ultima cosa che ho visto prima di meditare (non lui in persona: in salotto ho un cuscino con la sua faccia). quindi appaiono a raffica queste foglioline-nicolas cage che sorridono e fanno smorfie per farmi ridere, e anche altre cose che ora non ricordo. in pratica la mente fa di tutto per farmi ridere, ma allo stesso tempo è anche un po’ inquietante, e mi sembra che in sottofondo sentissi qualcosa come gyroscope dei boards of canada con le piante che andavano a ritmo. suona il timer dei 10 minuti, capisco che sono già in quella zona dove tutto è possibile, decido di andare fuori, all’esterno della casa.

nell’atto di mettermi le scarpe noto che gli occhielli (sono i buchi dove passano i lacci, per chi non lo sapesse) formano delle facce che sorridono beffarde, ed è come se le scarpe si opponessero. nessun problema a camminare a piedi nudi fuori, anzi, lo faccio ogni giorno e mi piace molto, ma in quel momento volevo mettermi le scarpe, mentre le scarpe non volevano mettersi me. come le foglie-nicolas cage prima, mi fanno smorfie e io divento un po’ paranoico, mi incazzo con le scarpe. riesco comunque a infilarmele, la cosa mi fa ridere, però mentre attraverso il salotto scrivo “LE SCARPE MI VOGLIONO FOTTERE” (scritta che leggerò più tardi, ore dopo), come un appunto per me stesso per ricordarmi di non fidarmi troppo delle scarpe. pura paranoia, quella sottile linea tra il divertimento e la tragedia, ma siccome la conosco bene ancora una volta la accetto e capisco che ho solo bisogno di muovermi.

in questa prima parte i ricordi sono confusi perché la magia avviene in maniera molto veloce e intensa. di sicuro a un certo punto ho detto a Z. “un albero si sta gonfiando” e ho iniziato a vagare per il bosco. le allucinazioni si sono fatte sempre più forti e intense, ma restare presente e tranquillo durante questo carnevale è una cosa che so fare. non solo: è una cosa utile per la vita di tutti i giorni. qualsiasi cosa di assurdo ti capiti intorno, tu resti focalizzato, centrato. è un ottimo allenamento.

è una giornata di sole, siamo in primavera inoltrata, quindi tutto è coloratissimo, i fiori sono accecanti e si moltiplicano. è come quando su photoshop aumenti la saturazione in modo eccessivo. fisso delle rose per qualche secondo e diventano immediatamente quattro, otto, si moltiplicano, si gonfiano, si muovono. il sole mi dà fastidio, così mi metto un foulard che ho sempre dietro con me, tutto l’anno, un foulard viola con dei teschi. con “metto” non intendo al collo: lo uso per coprirmi interamente la faccia, e SOPRA al foulard metto gli occhiali da sole, tipo uomo invisibile. al momento non so di essere conciato così, lo vedrò dopo in alcune foto scattate da Z. che naturalmente mi trovava buffo.

da qui in poi, per circa 7 ore, vedrò la realtà attraverso un velo viola. vado a pisciare vicino a un albero, intorno tutto si muove e si gonfia, mentre torno noto un ramo spezzato e appuntito che spunta da un tronco e sembra venire contro di me. non mi fa paura, ma ricordo che a Z. danno fastidio le cose appuntite, dunque sento una fortissima empatia che diventa talmente grande che – non essendoci più il mio Io – divento Z. per circa un minuto (o dieci, vai a sapere). cammino pensando di essere lei, noto tutte le spine, tutte le cose appuntite, mi sembra di camminare proprio come lei, di vedere le cose come lei, insomma mi sono trasformato in lei. sono consapevole della cosa e decido di smettere concentrandomi molto e formulando questo pensiero: “c’è già una Z. in casa, con due si fa confusione, devo smettere di essere lei”, così torno a essere nulla, un meraviglioso vuoto capace di essere riempito con qualsiasi cosa, pronto ad essere attraversato da chiunque. e infatti poco dopo vedo il gatto arancione che viene verso di me, si butta a terra e si mette a rotolare nell’erba. mentre lo fa mi guarda, come fanno sempre i gatti, come se volesse invitarmi a fare lo stesso. e per un attimo mi sembra di essere lui, mi rotolo a terra anche io, mi alzo di colpo e parlo da solo, credo di aver detto qualcosa come “no, non sono un gatto” perché comunque per qualche secondo lo sono stato.

vedo un dente di leone, cioè il tarassaco, e sono sconvolto dal soffione, quindi decido di portarlo a Z. questa cosa fa ridere perché intorno a casa ce ne saranno un miliardo, è pieno ovunque, ma quello che vedo è come se lo vedessi per la prima volta e voglio condividerlo con lei. quindi lo raccolgo e lo porto dentro casa, ma quando arrivo non c’è più, c’è solo lo stelo: al momento mi sorprendo meravigliato come un bambino di fronte alla magia (la spiegazione l’avrete intuita: camminando i flosculi del dente di leone – sì, si chiamano così – sono volati via). lo lascio sul tavolo con un biglietto scritto male: “POI TI SPIEGO”.

torno fuori, dove starò tutta la mattina. lo stesso albero di prima si gonfia ancora, per un attimo mi ricorda una di quelle statue di buddha ciccione. a fianco, nel cielo azzurissimo, una nuvola ha la forma di buddha, decido di fare una foto per farla vedere a Z., solo che ovviamente in quel momento usare il telefono è molto complicato, quindi ci metto diversi minuti ad arrivare alla fotocamera e a riuscire a usarla, ma incredibilmente dopo un po’ riesco a scattare la foto. poi la guardo: c’è solo il cielo azzurro. nel frattempo la nuvola si è dissolta, esattamente com’era scomparso il dente di leone. però anche questo mi sembra magico e penso qualcosa di profondo su buddha. un cielo vuoto mi sembra la sua migliore rappresentazione.

mi siedo, arriva Z., faticosamente le spiego un po’ di cose che le volevo dire, ci sono continui casini linguistici, una parola mi porta ad altre parole, mi distraggo, le parole mi sembrano solo suoni, ma concentrandomi so portare avanti un discorso (da fuori ovviamente appare tutto delirante: infatti Z. ne approfitta per farmi un video, che io vedrò dopo). le incomprensioni, che di solito mi tormentano nella vita di tutti i giorni e mi mettono ansia, in quel momento diventano molto meno importanti. quando non riesco a spiegarmi penso “vabbè, ci capiremo, non è importante” e quando non capisco “boh, magari poi capirò”. impara, cervello sobrio, impara dal tuo gemello fattone.

stando seduto, sarà per il miscuglio di teschi (ho sempre il velo che mi copre completamente tutta la testa), rose con spine, sole, fiori, non so, ma a un certo punto – questa è difficile da spiegare… – vedo tutta la realtà intorno a me con un’estetica tra frida khalo & el dia de los muertos, tutto molto fiori, morte, messico, teschi, colore. siccome sono in questo mood e ho il velo mi sembra di essere una donna a un funerale e per qualche minuto di nuovo divento qualcun altro, ma non so chi di preciso. a questo punto le allucinazioni si fanno potenti, di tutti i tipi, non solo visuali. mi sembra di avere acqua che scorre lungo la schiena, controllo ma non è sudore. una sensazione tipica anche di md e lsd, acqua che scorre dalla testa, lungo la nuca e la schiena. in realtà a un certo punto sento di avere acqua ovunque, ma non sono sudato. Z. mi versa dell’acqua sulla mano per capire la differenza, e il risultato è che mi appaiono migliaia di piante che germogliano, crescono, fioriscono, lungo una specie di ruscello. vedo Z. ridere e le piante diventano tante piccole Z. che nascono e fioriscono ridendo. meraviglioso. sui pantaloni ho pezzetti d’erba secca che mi sembrano stelle, cerco di spiegare la cosa a Z. a modo mio, quindi non si capisce un cazzo, lei mi tocca i pantaloni e lascia un’impronta luminosa. le dico di farlo ancora e fa una magia: il suo dito lascia un sentiero luminoso. provo col mio ma non funziona, mistero. riprova lei, di nuovo sentiero luminoso.

mi metto le cuffie, ascolto a occhi chiusi these boots are made for walking, misteriosamente diventata ormai la mia canzone da trip per eccellenza, e viene fuori un videoclip pazzesco, bellissimo, tutto a tema frida khalo/el dia de los muertos, spine, tantissime rose, teschi, messicani eleganti che suonano, cantano e ballano, migliaia di immagini a raffica, distorte, sincopate, che a volte si moltiplicano in tutte le direzioni come in un caleidoscopio. ah, caleidoscopio non a caso, secondo me: a casa dei miei ho trovato quello che usavo da bambino e me lo sono portato dietro. volevo giocarci durante il trip ma me ne dimentico, ma la sola idea del caleidoscopio è talmente potente che, anche senza usarlo, le allucinazioni sono  caratterizzate da quel tipico effetto molto più di frequente rispetto ad altri trip. solo perché sapevo che c’era il caleidoscopio. questo mi fa pensare (ora, non al momento) alla potenza simbolica di un oggetto. è davvero magia. un oggetto che basta che sia pensato per avere effetti sulla realtà.

mi alzo e cammino, ascolto ancora la stessa canzone e il videclip stavolta si svolge intorno a me, è come se io ci fossi dentro, perché ho gli occhi aperti, e a un certo punto mi fermo di colpo in un punto ed esattamente in quel momento nancy sinatra conclude la canzone dicendo “stop walking” e mi sembra una cosa profetica incredibile, mi sconvolge, come se tutto si fosse sincronizzato. in realtà ho cercato dopo e la canzone – ma lo sapevo! ma in quel momento ovviamente non me lo ricordavo – dice esattamente l’opposto: “Are you ready, boots? Start walkin'”. Dice start, non stop. ma in quel momento sento male, sento stop, e mi convinco di essermi sincronizzato con questa canzone. faccio un po’ di altre cose strane che non ricordo e/o non ho voglia di scrivere, poi mi siedo ancora sulla sdraio sul prato, parlo con Z. cercando di ignorare tutto ciò che vedo, ogni tanto le dico “hai delle cose intorno” e lei sorride (luci e lucette, petali che diventano farfalle, lampi di luce, colori che si fondono e le girano intorno alla testa, cose così: ma sono abituato a parlare con una persona anche vedendo queste cose, per questo dico che è una buona pratica in generale per restare concentrati). una visione però è talmente presente che non posso ignorarla, anche perché si fa insistente. dunque la descrivo a Z. mentre parliamo: gli alberi di fronte formano dei teschi che ballano. lo stile è sempre quello messicano, ballano e ammiccano in maniera ambigua, io chiedo “cosa volete? non capisco cosa vogliono. vorranno essere pagati?” chiedo a Z. vanno avanti per un bel po’ a ballare e ad ammiccare, mi divertono però li trovo un po’ irritanti nell’essere così insistenti. a un certo punto rido guardandoli e mi viene fuori una risata che non è la mia, ma quella di una persona che ho conosciuto da poco, L., un surfista simpatico. e che succede? ho la totale impressione di essere lui. mi sembra di parlare come lui, di ragionare come lui, faccio anche qualche allusione alla sua vita, non ricordo cosa, forse al surf, e infatti dico a Z. “oh no, sono ancora L.!”. poi divento qualcun altro, un giovane rapper, Z. mi fa delle foto perché le fa ridere come sono vestito e io le chiedo se servono per il disco, lei mi dice che non ho fatto un disco, e io dico “ah già, è vero, beh comunque possono essere utili per il disco di qualcun altro” e smetto di essere convinto di essere un rapper. per un paio d’ore dunque la mia identità è quasi totalmente assente, in certi momenti anzi lo è proprio del tutto, e posso essere qualsiasi cosa, persone, gatti, a un certo punto anche un albero. ah, gli scheletri che ballano a un certo punto iniziano a formare delle scritte, dico a Z. “è ebraico” ma probabilmente non lo era, lei mi dice di leggerle, ma non capisco, si formano delle lettere, dico “non so leggere l’ebraico” e lentamente diventano lettere dell’alfabeto latino, che so riconoscere, ma non sono vere e proprie parole, solo lettere a caso che cambiano, e inizio a leggerle. “è come la visita dall’oculista” dico, mentre le leggo e le elenco.

Z. va a fare le sue cose, da qui in poi resto da solo fino alla fine del viaggio. sto molto bene, ho solo voglia di stare sull’erba e ascoltare musica – e ho sempre il foulard viola che mi copre completamente. qua sorge un problema enorme, tipico di chi ha preso certe sostanze, oppure dei bambini o degli anziani con la demenza senile: devo andare a pisciare, ma ho una bottiglietta d’acqua che so essere importante perché devo bere. che faccio, la porto con me o la lascio qua? non voglio portarla con me, ma ho paura di perderla, il giardino e il bosco li percepisco come spazi enormi – sono effettivamente grandi, ma io mi sto muovendo praticamente in venti metri quadri – dunque mi blocco, sono in crisi. non voglio chiamare Z., voglio risolvere il problema da solo. questa è la parte “il problema del piscio e della bottiglietta”. prima, in realtà, c’è il problema della bottiglietta.

ragiono, parlo a voce alta da solo, “la lascio qua… ma se non la ritrovo?”, decido di fare un video dove riprendo il luogo dove lascio la bottiglietta e dove spiego a me stesso dove si trova. ovviamente ci metto un sacco di tempo a capire come fare un video, e non sono nemmeno sicuro – al momento – di esserci riuscito (in realtà sì, il video esiste). solo che mentre registro, vista la fatica che avevo fatto per trovare la fotocamera nel telefono, dico anche “ma poi come trovo il video? dovrei fare un video dove mostro dove si trova il video… ci vuole un altro telefono”. sì, lo so, perché una persona dovrebbe trovarsi in una situazione del genere? beh, si impara a non dare nulla per scontato e a trovare soluzioni anche in situazioni difficili, con calma, tranquillità e concentrazione.

capisco che l’idea del “video per trovare il video per trovare la bottiglietta” non ha senso, entro nella bellissima modalità “non esistono problemi, siamo noi che li consideriamo tali” quindi semplicemente mollo la bottiglietta a terra sperando di ritrovarla. fa ridere perché l’albero dove vado a pisciare sarà a dieci o quindici passi da lì, ma a me sembrava molto di più. dunque piscio, che in questa fase di allucinazioni intense si rivela un’esperienza stranissima, come sempre, e ti godi più del solito l’atto di pisciare, che è comunque un’azione sempre bella, da non dare mai per scontata. ma sono cose che forse ho già scritto, quindi lasciamo stare.

ovviamente mi dimentico che avevo scelto un altro posto dove stare, mi dimentico della bottiglietta, mi dimentico tutto e penso che un bel posto dove stare è quello dove ho pisciato. e intendo letteralmente: la visione  dell’erba e delle foglie bagnate mi piace, penso di sdraiarmi lì, però la parte  del cervello razionale – comunque sempre attiva – si ricorda che non è bene sedersi dove si piscia, quindi scarto l’idea e tento di ritrovare il luogo con la bottiglietta. essendo praticamente lì a fianco lo ritrovo subito, dunque mi sdraio a terra all’ombra di un albero, mi metto le cuffie e da questo momento sto lì per credo un paio d’ore. ma le sorprese e le trasformazioni non sono finite. ascolto ancora un paio di canzoncine anni 60, mi rotolo nel prato, assumo posizioni improbabili, poi provo ad ascoltare “music for dog”, della musica che mi ero segnato il giorno prima pensata per “rilassare i cani”. mi fa cagare, mi annoia subito, mi dà proprio fastidio, quindi la tolgo e totalmente a sorpresa metto 99 problems di jay-z, che ascolto per una decina di volte di seguito. mentre la ascolto tengo il ritmo con un bastoncino e mi sento completamente d ‘accordo con quello che dice jay-z, sento che ha ragione, non so come spiegarlo, ma è come se stessi ascoltando qualcuno lì, dal vivo, che parla con me, e allo stesso tempo mi sento un po’ anche io la persona che parla, mi sento jay-z, un mix delle due cose. quindi, credo al settimo ascolto, mi vengono dubbi su quali possano essere questi 99 problems, non capisco tutto quello che dice, voglio sapere di cosa parla. mando a Z. il seguente messaggio: “Leal quando hai tempo mi puoi dire cosa dice la camz on 99 problema po’ yo spiego”. non so cosa o chi sia “Leal”. mi sono concentrato moltissimo per scrivere il messaggio e ho impiegato diversi minuti per formulare la frase, ma il massimo che sono riuscito a ottenere è questo.

Il messaggio non arriva a Z. perchè ovviamente ho il telefono in modalità aereo, però poco dopo arriva Z. in persona e le dico che avrei bisogno d’aiuto per capire il testo di 99 problems, le dico “mi dispiace che abbia 99 problemi… cioè non capisco se sono tutti suoi oppure di altri, io mi sento d’accordo con lui, ma vorrei esserne certo”. Z., con ammirevole pazienza, cerca sul suo telefono la canzone e cerca di tradurmi il testo e spiegarmela, io dopo un po’ sono soddisfatto e disinteressato allo stesso tempo, capisco che è una cosa che va più o meno bene, quindi la ascolto ancora una volta. dico a Z. che ho ascoltato la musica per cani ma fa schifo, lei mi suggerisce quella per gatti (david teie – music for cat, consigliatissimo) e rimango incantato.

mi tolgo le scarpe, sono praticamente ricoperto di foglie, formiche, erba secca, e per almeno un’ora e mezza semplicemente sto all’ombra di un albero ad ascoltare questa musica per gatti, bellissima. arriva anche la mia adorata gatta Clara, ci abbracciamo, la accarezzo, ci parlo, le dico che sto ascoltando musica per gatti, lei va via. le allucinazioni diminuiscono e poi spariscono quasi del tutto, rimane solo una sensazione piacevole di capire le cose e capire che non è importante capire tutto, e anche di assenza di separazione fra me e tutto il resto (ma sento di nuovo presente l’Io). mi rilasso, quasi mi addormento, anzi forse dormo un minuto o due, poi niente, la parte finale assomiglia a tutte le altre e dopo un po’ finalmente posso mangiare.

IN CONCLUSIONE

recensione del trip: bello, meno introspettivo-solitario-spirituale del precedente che ho trascritto (Il Continuo Fluire di Tutto e un momento di imbarazzo con alcune piantine verdi), dove c’era un obiettivo, un’intenzione, mentre qua era tutto a caso del tipo “seguiamo il flusso”, ma molto divertente e potente sul piano della percezione della realtà. in una manciata di ore mi è successo di tutto, ho avuto la sensazione di vivere molto più a lungo e più vite, stile lsd dosaggio alto oppure dmt (no Z., lo so che non è la dmt, era solo un cenno legato all’alterazione molto intensa della percezione del tempo e alla totale dissoluzione dell’Io, vivendo altre vite). anche stavolta ho imparato cose molte utili, mi sono goduto il bosco e la musica e non ho fatto del male a nessuno. voto: e cosa vuoi di più? momento presente, momento meraviglioso.

nota: queste cose naturalmente si potrebbero scrivere meglio, ma… vedi il preambolo. ho scritto di getto e abbastanza in fretta, consideriamoli appunti. 

 

2 risposte su “Buddha in cielo, teschi che ballano, musica per gatti e scarpe che mi fottono nella continua dissoluzione dell’io”

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