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E adesso droghiamoci

E se non lasciassimo le droghe in mano a giudici, psichiatri e sbirri?

Se negli anni ’60 l’idea che si potesse cambiare il mondo con l’aiuto degli psichedelici era possibile, oggi in gran parte sta rientrando in protocolli terapeutici, le aziende farmaceutiche investono in queste sostanze e il capitalismo ha assorbito quasi del tutto quella spinta. Perché quasi del tutto? Perché ad esempio state leggendo questo testo, scritto da chi crede che le droghe abbiano un potenziale sovversivo. E ci sono altre persone che ci credono, là fuori, da qualche parte. E ci sono anche numerose sacche di resistenza di individui che in qualche modo, nel loro modo, consumano queste sostanze.

Non c’ero negli anni ’60-70 e non mi interessa approfondire troppo, anzi penso sia necessario un reset. Se da un lato il potenziale rivoluzionario attribuito agli psichedelici dalla controcultura degli anni Sessanta può suscitare entusiasmo e fascinazione, dall’altro la repressione, la loro progressiva assimilazione nel sistema e la conseguente perdita di quella energia lasciano spazio a un senso di disillusione, depressione e demotivazione. Perché farsi intristire?

L’idea di una trasformazione radicale della società attraverso l’espansione della coscienza si è dissolto, sostituito da un uso sempre più marginale e nascosto, individualistico, quando va bene ricreativo, oppure terapeutico. Quindi se il passato è demotivante, perché pensarci? Come diceva un meme: il passato non esiste, ci sei mai stato? Restiamo nel momento presente, per immaginare quello futuro.

Se il sogno psichedelico non è morto del tutto, anche se in parte addomesticato dalla farmaceutica o perfino ereditato dagli psicopatici della Silicon Valley, forse è il momento di strapparlo di nuovo dalle mani di chi lo vuole trasformare in un prodotto da prescrizione o in un altro ingranaggio della produttività, di chi con “vision” intende quella aziendale, e recuperarne il potenziale politico.

Il punto non è riportare in vita un’epoca che non ci appartiene, ma riconsiderare il significato di queste esperienze qui e ora. Bella musica negli anni ’60, per carità, ma lasciamoli dove sono. Guardiamo alla situazione di oggi. Anche i rari momenti in cui gli psichedelici non vengono considerati medicine, si parla comunque di crescita personale, auto miglioramento, trasformazione individuale, e raramente si pensa a quella collettiva e tantomeno alla trasformazione della realtà. Eppure questo effetto è possibile. Anche se finora non è successo, non è detto che non possa succedere. Il momento giusto arriva quando decidiamo che è arrivato. Ed è giunto il momento di parlare del potenziale sovversivo degli psichedelici.

Sento già l’obiezione: ma anche la destra trumpiana conosce gli psichedelici, eppure non cambia nulla, non c’è alcuna trasformazione. Sarebbe come dire che i libri possono avere un potere trasformativo, ma siccome anche i reazionari leggono, allora forse i libri non hanno alcun impatto. Le droghe, proprio come i libri, non sono rivoluzionarie in sé, sono strumenti, mezzi che possono aprire possibilità, spostare prospettive, creare crepe nel reale. Gli psichedelici: non portano automaticamente a dei risultati, ma costituiscono una possibilità. E come i libri, da soli non cambiano nulla: serve chi li usa, chi li diffonde, chi li trasforma in azione. Gli psichedelici dovrebbero stare accanto ai libri nelle biblioteche della rivolta: LSD, DMT, funghi, peyote, ketamina e tutto il resto e anche tutto ciò che ancora deve essere scoperto o riscoperto. Non perché siano una bacchetta magica, ma perché possono essere uno dei tanti detonatori di una nuova immaginazione politica e sociale.

Sento anche questa obiezione: l’esperienza psichedelica è un’esperienza individuale! Questo è male! Beh, anche leggere, se è per questo. Però se leggiamo lo stesso libro, o anche i libri diversi, e poi ci confrontiamo, ci scambiamo informazioni, idee, emozioni, diventa un’esperienza collettiva, potenzialmente di trasformazione del mondo. E chi liquida questa idea come retorica ingenua non si accorge di cadere nella stessa semplificazione. È come dire che siccome molte persone leggono senza diventare rivoluzionarie, allora i libri non servono a nulla. I libri da soli non cambiano il mondo, ma masse intere che li leggono e poi agiscono, forse sì. Al posto di libri metteteci droghe.

L’esperienza psichedelica è un potente strumento di allenamento alla decostruzione della realtà ordinaria. Quando una persona assume una sostanza psichedelica, il suo modo di percepire il mondo cambia radicalmente: le strutture spazio-temporali si dissolvono, le identità si sfaldano e si svuotano, i concetti di sé e dell’altro si fanno fluidi, tutto può essere messo in dubbio. Questo stravolgimento percettivo e cognitivo è ciò che permette di mettere in discussione la realtà così come è comunemente intesa.

Se spazio e tempo, che sono tra le strutture fondamentali della nostra esistenza, possono essere percepiti come illusioni o convenzioni, allora anche le banali costruzioni sociali – come lo Stato, la polizia, l’autorità, il lavoro, la proprietà privata – possono essere soggette a questa stessa messa in discussione. Lo Stato agli occhi di molti si presenta come un’entità solida, inevitabile, quasi naturale, ma è un costrutto umano, mantenuto in piedi da narrazioni, istituzioni e coercizioni. Durante un trip lo Stato non esiste. A meno che non sia un bad trip. E di sicuro non avete voglia di lavorare.

L’esperienza psichedelica può far emergere una consapevolezza nuova: le regole che governano il mondo sono arbitrarie, le gerarchie sono spesso imposte con la forza e la polizia non è una necessaria istituzione a servizio della giustizia, ma un apparato di controllo sociale e di monopolio della violenza. Se la realtà sociale è malleabile, se le sue leggi possono essere riscritte come quelle della percezione sotto l’effetto di un trip, allora diventa possibile immaginare nuovi modi di organizzare la convivenza umana, modelli non gerarchici, non autoritari, più cooperativi e creativi. Anche più divertenti.

Quest’ultimo punto non è da sottovalutare. Divertire vuol dire volgere altrove, andare in un’altra direzione, e ha la radice in comune con diverso. Ed è di questo che sto parlando.

Sono consapevole che i casi individuali servono fino a un certo punto, esattamente come per i libri. Se da una parte possiamo raccontare con un certo godimento del suprematista bianco che in uno studio scientifico ha preso l’MDMA e ha capito che le sue idee erano malsane e che tutto ciò che conta è l’amore e la connessione con gli altri (cercate la notizia, si trova online), dall’altra possiamo immaginare un Super Compagno che ha letto tutti i libri giusti e preso un sacco di acidi, eppure resta il solito stronzo. Fatta questa premessa, farò un esempio personale.

Ho avuto esperienze molto intense e significative, ma in questo caso ne propongo una che all’apparenza può sembrare minore e invece, sul lungo periodo, si è rivelata tra le più importanti. È andata così: un giorno volevo meditare sul concetto di confine durante un trip, ma ovviamente me ne sono dimenticato, come spesso capita quando si è alla ricerca di una visione e si viene distratti dalle allucinazioni. Tutte quelle cosette colorate e bizzarre che si associano all’esperienza psichedelica si possono considerare degli effetti collaterali: divertenti, ma non molto significativi. A riportarmi al mio compito è stata la mia compagna, che a un certo punto mi ha chiesto “Non volevi meditare sul confine?”. In quel momento c’era un forte vento, o forse un venticello leggero che io percepivo come forte. Mi sentivo attraversato da questo vento. Non si abbatteva su di me, scorrendo sulla pelle: mi attraversava da parte a parte. E avevo la percezione che lo stesso vento stesse attraversando anche gli alberi intorno a me, e tutte le cose e le persone. Il mio corpo, confine per definizione, era come se non ci fosse. E se non c’era quel confine, come potevano essercene altri, narrazioni culturali, costrutti, idee? Alla mia compagna ho immediatamente risposto che quella questione non mi interessava più, che trovavo la stessa domanda stupida – domanda che avevo concepito quando ero nell’altra realtà, quella razionale e meno colorata. Al ritorno, dopo qualche ora, non avevo ragionato e meditato sul confine: ne avevo fatto esperienza. Il confine poteva non esserci affatto. L’avevo visto, l’avevo sentito. Più che un’idea mi è rimasta addosso per mesi una sensazione legata a questa micro esperienza che ora ovviamente, riportata a parole, non rende granché. Ma è stata profonda e importante.

In altre parole, se un’esperienza psichedelica può farci vedere che i confini sono fittizi o che il tempo è un’illusione, può anche aiutarci a vedere che il potere lo è. Se può sciogliere i confini tra soggetto e oggetto, può anche sciogliere i confini tra governanti e governati. E se può farci percepire la realtà come un flusso in continuo cambiamento, allora può ispirarci a trasformare radicalmente il mondo in cui viviamo. Le droghe diventano un allenamento a mettere in dubbio, sabotare, hackerare la realtà. Con gli psichedelici lo vediamo: è possibile. Accediamo a una realtà dove le cose sono tutte in trasformazione. Non è sulla pagina di un libro: è davanti a noi, dentro di noi, intorno a noi. Sentire certe cose, provarle, vederle, è diverso da pensarle, da ragionarci su.

Si diventa empatici, le barriere tra individuo e comunità si dissolvono, si genera una solidarietà radicale, un senso di interconnessione e interdipendenza tra tutte le forme di vita, non solo umane, e una generale sensazione di libertà. La possibilità di creare nuovi modelli sociali basati sulla cooperazione, sull’empatia e sulla condivisione diventa più concreta, mentre i vecchi modelli di potere che si fondano sull’oppressione, la competizione e l’individualismo sembrano sempre più obsoleti. Queste sostanze magiche amplificano una capacità già insita in noi ma a volte un po’ arrugginita: l’immaginazione. Quindi non si tratta solo di riconoscere che il potere del sistema sociale, politico ed economico è fragile, illusorio e costruito, ma di iniziare a immaginare e creare nuovi mondi, dove le strutture esistenti siano decostruite e sostituite da possibilità più libere, collettive e divertenti.

E quindi cosa fare? Drogarsi! Autogestione e autoproduzione, soprattutto. Normalizzare l’utilizzo di queste sostanze, diffondere conoscenza. Oltre al consumo individuale, pensare a pratiche di esperienza condivisa, a gruppi che usano gli psichedelici per immaginare, sperimentare e progettare. Elaborare strategie di consapevolezza dell’utilizzo che non dipendano da istituzioni ufficiali e camici bianchi e ignorare completamente, da subito, senza attendere leggi o fare petizioni, lo status di legalità o meno di una sostanza. Non imploriamo in ginocchio che l’autorità ci conceda qualcosa che possiamo avere già.

Imparare a creare le sostanze, coltivarle, nasconderle, eludere i controlli, creare alleanze, imparare a prendersi cura gli uni degli altri. Contrastare la logica commerciale creando filiere di produzione e distribuzione autogestite, rendendo le sostanze disponibili anche a chi non ha soldi. Tra compagni e compagne, consigliare sostanze come oggi si consiglia un saggio Elèuthera. Creare manuali, fanzine, canali di informazione indipendenti che parlino di psichedelici in chiave sovversiva e non solo terapeutica o spirituale, con istruzioni e ricette. C’è sempre un amico col pollice verde bravissimo a coltivare erba e funghi o un’amica chimica che sa fare la DMT. Inserire le droghe all’interno dei dibattiti. Allenarsi a vedere le cose in modo diverso, a sperimentare allucinazioni e visioni dove tutto è possibile, dove le cose sono in costante mutazione e quindi vedere che anche queste strutture di potere che possono apparire così immutabili in realtà possono essere spazzate dal vento e se ne possono immaginare di nuove. Vedere, dentro le nostre teste, che il capitalismo può non esistere.

Le droghe sono uno spazio libero. All’interno dell’esperienza non ci sono né servi né padroni, non ci sono doveri, non ci sono gerarchie, non c’è produttività, non c’è profitto, non c’è economia. Dentro l’esperienza si aprono territori inesplorati, l’ego si dissolve e l’immaginazione si espande oltre i confini. È un ritorno alla possibilità pura, alla libertà di percepire, di sentire, di pensare senza le sovrastrutture che ci vengono imposte fin dalla nascita. E se questo è possibile dentro di noi, allora è possibile anche fuori. Su una panchina una volta ho letto la scritta: RESPIRA, LICENZIATI, GIOCA.

Emma Goldman ha detto: se non posso ballare, non è la mia rivoluzione. Io dico: se non mi posso sballare, non è la mia rivoluzione.

E se io sono già pronto e non ho bisogno della droga? Vi sento, compagni. Avete già letto tutti i libri utili, vi giocate metà stipendio, se ce l’avete, per sostenere fogli anarchici e fanzine, avete partecipato a tutte le forme di lotta attualmente possibili, fatto parte di 147 collettivi e accumulato 10mila ore di assemblee. Siete già svegli, illuminati, vi vedo anche un po’ stanchi. La scossa psichedelica a voi non serve. E va bene, forse è vero. Anche se non sentite il bisogno di usare droghe per fare esperienza di una nuova realtà, potreste farlo per esplorare gli psichedelici in un contesto condiviso, come un’esperienza collettiva, per capire come queste sostanze possano agire a livello comunitario, per gioire insieme. In questo caso diventano un strumento di coesione piuttosto che di esplorazione individuale. E poi potreste farlo per divertirvi, perché no? Alla prossima assemblea niente birrette, proponete un trip.

Sento anche un’altra vostra preoccupazione: le stesse sostanze che secondo alcuni potevano aiutare a cambiare il mondo secondo altri sarebbero state usate per depotenziare e indebolire i movimenti di lotta. Secondo questa visione cospirativa ad esempio l’LSD fu deliberatamente lasciato circolare (o addirittura promosso) dai servizi segreti per distrarre i giovani dalla lotta politica, portarli a una “fuga dalla realtà”, all’isolamento, per disgregare i movimenti di protesta. È andata così? Non mi interessa. Se anche fosse vero, farsi spaventare dalle strategie del potere sarebbe una sconfitta. Voglio dire, sono passati più di 50 anni. Perché farsi ingabbiare e spaventare dal passato? Se mezzo secolo fa gli psichedelici sono stati davvero un’arma del nemico, oggi possono diventare una nostra arma.

Anche perché drogarsi non vuol dire rincoglionirsi. O almeno, anche, ma non solo. Secondo alcune ipotesi, a cui mi piace credere, i guerrieri vichinghi prima delle battaglie entravano in uno stato mentale di furia ingerendo un infuso di funghi allucinogeni del tipo Amanita muscaria. Altri combattenti, in altri periodi e in altre parti del mondo, si preparavano alla lotta con l’hashish o il peyote. Queste sostanze non erano usate solo per la battaglia, ma anche per prepararsi spiritualmente o per ottenere visioni strategiche.

Saremo sballati, ma non per questo meno pericolosi. Anzi. Io credo che gli psichedelici non siano anestetici, non servono a spegnere il pensiero critico né a renderci più docili. Al contrario possono essere strumenti di disvelamento, detonatori di immaginazione radicale, catalizzatori di una percezione più fluida e dinamica della realtà. Se il capitalismo rischia di assorbire tutto, anche gli psichedelici, allora un atto sovversivo non è solo usarli, ma usarli insieme, in modo collettivo, politico, come allenamento a vedere il mondo in un altro modo e a costruirne di nuovi. Non per evadere, ma per sabotare. Non per anestetizzare, ma per agire. Possiamo essere molto pericolosi – e completamente sballati.


questo testo fa parte dell’opuscolo “Verso un’insurrezione psichedelica” di MP edito da Robin Book Gang, liberamente scaricabile qua https://archive.org/details/verso-uninsurrezione-psichedelica/verso%20un%27insurrezione%20psichedelica%20Lettura/

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