Quando torno a casa ho l’odore del loro sapone. Visto che a casa mia mancano sia il riscaldamento che l’acqua calda, quando vanno via approfitto della loro casa per farmi una doccia.
La doccia è spaziosa, il getto d’acqua bollente, non mi limito a lavarmi ma resto diversi minuti in trance, e ogni volta mi sembra la prima volta in vita mia che faccio una doccia.
Quando vanno in vacanza, e ci vanno spesso, io vado a stare là, mangio nella loro cucina, uso il loro bagno, mi siedo nel loro giardino, al loro tavolo, sui loro divani. A meno che i cani non siano nei paraggi. Sono tre, sono molto belli, e io sono il loro servo. Quando desiderano uscire, si piazzano davanti alla porta, e tocca a me aprirla. Quando vogliono rientrare, eccomi di nuovo, pronto a obbedire. E se uno è appena rientrato, può darsi che un altro abbia già deciso di uscire. Se non apro subito abbaiano. Con loro bisogna parlare inglese, perché capiscono quella lingua. Io non so bene l’inglese, ma lo so abbastanza da poter parlare con un cane.
Uno dei tre dorme su una chaise longue che sarebbe molto comoda anche per la mia schiena, ma è quasi sempre occupata da lui. L’arredamento della casa è minimal ed elegante, moderno, da rivista. Ovviamente l’intera casa è domotica. Ci sono i pannelli solari, l’assistente vocale, il wi fi, tutti gli elettrodomestici funzionanti. I padroni controllano tutto a distanza con lo smartphone. Alle 7.30 e alle 18 i cani devono mangiare, ma durante la giornata ogni tanto gli do anche i biscottini. Uno dei tre cani è un po’ schizzinoso e a volte devo porgergli il cibo con la mano, altrimenti non mangia.
C’è qualcosa di perverso nel modo in cui, appena loro vanno via, la macchina lascia il vialetto di casa e il cancello si chiude, io mi fiondo ad aprire il frigo per controllare cosa c’è dentro. Non prendo mai nulla del loro cibo, mi porto il mio, ma mi piace osservare cosa mangiano. Molti formaggi. Vini. Carne. Broccoli. Molte salse. E poi il macinato per i cani, di primissima qualità.
Sul frigo c’è anche un calendario con i vari appuntamenti – quando tornano dalle vacanze, quando devono andare dal dentista, quando vanno in palestra, quando aspettano visite degli amici. Guardo anche la loro camera da letto, con i loro cuscini, le fotografie appese sui muri, pochissimi libri. È una sensazione perturbante quella di muoversi con familiarità in una casa di quasi estranei, come se fossi un ladro che ha studiato bene la piantina e sa dove andare. So come si aprono le porte, so come non sbattere contro i mobili, so dove sono gli interruttori della luce senza doverli cercare. La casa è sempre perfettamente pulita e riscaldata. La presenza del riscaldamento, per chi è abituato a vivere in una casa non riscaldata, è la cosa che si nota di più. Il calore rilassa, intorpidisce, mi fa venire sonno, ma allo stesso tempo mi fa sentire protetto.
Ho spesso paura di sporcare. Perfino usare il bagno mi sembra sconveniente, perché da loro tutto è perfetto. I padroni sono carini, sempre puliti e sorridenti, ben vestiti, simpatici, impeccabili. Io, scoria ottimista ma depressa del tardo-capitalismo, mi vesto trasandato, ho vestiti comodi, i capelli sporchi, ma lo giustifico a me stesso con il fatto che devo avere a che fare con tre cani e potrei sporcarmi.
Per qualche giorno, mentre loro sono a sciare, o sono andati a trovare amici e parenti, o sono al lago, io mi immergo nel loro benessere, ma senza bagnarmi, se non nella doccia, pienamente consapevole della loro gentilezza, ma ancor più della mia posizione subordinata. Non sono un loro ospite, non sono un loro amico. Per stare qua mi pagano, anche se mi ringraziano sinceramente più volte sia quando arrivo sia quando vado via, come se gli facessi un favore in amicizia. Mi piacerebbe essere loro amico, ma forse non è possibile. Troppe differenze. Io so molte cose di loro, ho sempre letto il calendario, visto le cartoline, gli appunti, i post it, le loro medicine, i film che guardano sulla smart tv. Loro invece di me non sanno niente, visto che si limitano a chiedermi come sto e io ho sempre risposto che sto bene. Solo una volta mi sono ammalato e ho detto che non stavo bene. Successivamente mi hanno chiesto come stavo, e ho detto che stavo meglio.
Quando arriva un corriere bisogna andare al cancello e ritirare il pacco. Io non abito lì, il corriere forse non lo sa, ma in quel momento è come se questa casa fosse mia. Non so nemmeno cosa c’è dentro il pacco. Ne ricevono tanti. Spesso ho la sensazione che la casa mi osservi. Non mi fido della domotica, quindi non dico o faccio certe cose perché mi sembra di essere controllato.
Guardo le loro foto: ci dev’essere un motivo di infelicità, da qualche parte. Sembrano sempre così rilassati, così a loro agio. Non hanno figli, hanno cani: che questo per loro sia stato un problema, un ripiego? Forse uno dei due non può avere figli? È evidente che trattano i cani come tratterebbero i figli, anche se l’aspetto triste è che i cani, a differenza dei figli, di solito non sopravvivono ai loro genitori. Se forse l’ipotesi del rapporto di amicizia tra me e loro è impossibile, ho spesso fantasticato su un’altra soluzione: diventare il loro quarto cane.
Ormai conosco il posto, la casa e il giardino sono molto belli, vivrei bene qua. Dovrei solo adattarmi alla quadrupedia, mangiare macinato di carne, fare i miei bisogni sul prato. Tutte cose a cui ci si può adattare. In cambio vivrei una vita comoda, accudito, riscaldato, nutrito, curato.
Quando poi tornano gli chiedo com’è andata, se il tempo era bello, se hanno sciato, se si sono divertiti, e loro chiedono a me com’è andata, a me che sono rimasto per tutto il tempo a casa loro ad aprire e chiudere una porta. Tutto bene, gli dico. Poi c’è lo scambio di denaro, i ringraziamenti, e alla fine torno nella mia casa che, una volta abituato alla loro, mi sembra ancora più fredda e umida. L’acqua che esce dai rubinetti è ghiacciata, il divano è meno comodo, ma almeno non c’è la domotica e il forno rotto è quasi un sollievo.
Se diventassi il loro quarto cane mi piacerebbe un giorno morire ed essere sepolto lì, in quel giardino così bello, vicino alla piscina, tra le migliaia di bulbi che lei, la padrona, ha sparso nel prato, tra fiori di ogni colore e gli escrementi dei miei fratelli cani, accarezzato dal vento che passa lieve tra i fili d’erba, sotto il sole primaverile che scalda la terra, mentre le stagioni si susseguono e i bulbi, anno dopo anno, fioriscono sopra di me, mescolando il profumo dei loro petali alla semplice, inevitabile verità dell’impermanenza, felice di aver vissuto da cane, libero dalla complessità e dal peso della condizione umana, al sicuro, al caldo, senza preoccupazioni.
Una risposta su “Quadrupedia”
bello in modo inquietante.