Arriva sempre il momento in cui il politico sardo alza la voce, diventa rosso e ricorda a tutti che suo padre era un pastore.
Oppure un contadino. Succede sempre, è come un momento tradizionale, la gente se l’aspetta, e i politici non vogliono deludere la gente. Anche questa volta la scenata raggiunge l’effetto voluto. Mi guardo intorno, nella sala bianco-oro con le poltrone rosa – ecco cosa succede quando a scegliere i colori sono le suore – vedo visi emozionati: qualcuno è sorpreso dall’intensità raggiunta dal discorso, altri invece sono semplicemente soddisfatti, come dire: bravo, diglielo a quelli.
Quelli sono i professorini che dall’alto delle loro cattedre ci danno lezioni, ci dicono cosa fare, sono convinti di essere il verbo incarnato quando invece di verbo incarnato ce n’è uno solo – dice così, battendo la mano sul tavolo – e questa perfetta improvvisazione sull’unico Verbo, probabilmente ispirata dai colori della sala, ci fa capire che non è un novellino, ma anzi uno che nonostante la grammatica incerta e gli evidenti problemi di ipertensione fa comizi ogni giorno della sua vita da almeno trent’anni.
Una volta tolto il tappo, il politico sardo da rubinetto che sgocciola si trasforma prima in fiume in piena e poi in tsunami distruttivo. Abbandona congiuntivi, lascia indietro educazione e moderazione, si lascia andare alla rivendicazione nostalgica, ricorda che lui ha fatto l’agrario, lui ha lavorato la terra, suo padre aveva le pecore, conosce l’odore della terra e come dopobarba usa lo sterco di mucca. Non lo dice ma il sottinteso è questo: quindi posso fare quello che voglio. Perché la Sardegna è mia.
Da bravo politico il suo scopo è soprattutto emozionare. Quindi, preparata le platea, alzati i toni e scaldati i cuori, passa la parola al nerd del gruppo, il direttore generale di non so cosa, un tecnico in giacca e cravatta blu armato di occhiali con montatura fighetta e slide di Power Point. L’intro del tecnico è di quelli con numeri e tabelle troppo piccole, un momento di distensione dopo il picco emotivo raggiunto dal politico. Per un po’ dice cose noiose e incomprensibili, dando modo alla gente di tossire, stiracchiarsi, sistemarsi i pantaloni e controllare il cellulare. Poi, passa subito alla fase due: razionalizzare i concetti espressi poco prima a urla e strani tempi verbali dall’animale-politico. La gente vede mappe e numeri e inizia ad annuire: vedi vedi, allora è proprio vero.
Penso a cosa avrebbero potuto fare i nazisti se avessero avuto Power Point.
Il tecnico è un tipico furbo al servizio del Male. Spiega che l’attuale normativa, considerata troppo ambientalista, troppo rigida, va assolutamente rivista, rivisitata, corretta, perché va bene l’ambiente, va bene la tutela delle bellezze naturali, ci mancherebbe, però non bisogna dimenticarsi che in quell’ambiente ci vive l’uomo. Lo sguardo dei presenti si fa preoccupato: l’ipotesi che ci si dimentichi dell’uomo terrorizza un po’ tutti.
Il tecnico dice che loro sono per una VISIONE DINAMICA DEL PAESAGGIO.
L’ho scritto maiuscolo perché quando l’ha detto io l’ho sentito così: LA VISIONE DINAMICA DEL PAESAGGIO.
Immaginate un macellaio con un coltello insanguinato in mano che vi parla della sua visione dinamica della vita: la sensazione è quella. Ripete circa quattrocento volte la parola sviluppo (nelle varie versioni: necessità di, esigenze di, bisogno di, tutte all’interno di un discorso sulla “crisi”) e parla del rilancio dell’economia, perché bisogna adeguare la tutela della natura alle naturali esigenze del mercato – applausi.
Nella sala bianco-oro si diffonde un odore di cemento e calcestruzzo quando il tecnico passa ad illustrare gli aspetti paradossali dell’attuale piano normativo.
Guardate, dice, con questi vincoli non è possibile nemmeno sollevare una tomba di mezzo metro, pensate che assurdità. Ovviamente ogni legge, dovendosi applicare a tutti i casi, ha un margine di eccesso che rischia di generare situazioni paradossali, questo lo sappiamo, e di conseguenza quello del tecnico è un trucco da imbonitore. Ma il pubblico è distratto dalle slide, dalle foto di tombe e di chiese e dalla sua faccia competente.
Dunque immagino un’irruzione dei black bloc.
Immagino che sfondino le porte della sala, lancino molotov contro il palco e brucino le tende. Gli estintori appesi al muro potrebbero essere usati per sfondare le finestre. Le poltrone rosa sono sicuro che prenderebbero fuoco come niente. In una situazione di panico incontrollato le uscite di sicurezza si dimostreranno del tutto inadeguate. Alcuni corpi bruceranno, ci saranno senz’altro grida strazianti di dolore.
Tutto questo però non succede.
Succede invece che il tecnico finisce le slide e il politico sardo riprende la parola. E ancora una volta batte la mano sul tavolo, diventa rosso e urla nel microfono, se la prende ancora con i professorini che fanno le lezioncine e ricorda a tutti che lui, che aveva il padre pastore e agricoltore e che ha fatto l’istituto agrario e che sa di cosa parla, lui non è un professorino che fa le lezioncine: lui è un uomo qualunque. E su questo siamo d’accordo.
2 risposte su “Edilizia (ok l’ho trovato)”
post turgido e imponente. cuori a go-go.
zniff